Category Archives: malapecora

i fatti miei

By your side

laboratorio pornoamoroso per coppie inquiete
21-22 gennaio 2017 a Arti e Tradizioni – Garzigliana (TO)

Puó l’intesa sessuale resistere al logorio del tempo?
Quali sono i segreti di una comunicazione di coppia efficace?
Perché alcune relazioni crescono e altre invecchiano?
Come mantenere viva l’attrazione?

cuttly-fingers

By your side si propone come momento di riflessione attiva e partecipata per coppie in cerca di nuovi stimoli o che abbiano voglia di ripensare la loro vita a due.
Un’esperienza collettiva dedicata al benessere e alla salute sessuale, due giorni di immersione nella teoria e pratica della relazione coordinati da Slavina, pornoattivista e sex coach.
Un weekend pieno di momenti diversi che offriranno alle coppie partecipanti la possibilità di giocare e mettersi in gioco per affrontare con un approccio creativo e positivo le problematiche della vita condivisa. Ripensando insieme le risorse e le ragioni del vivere insieme per ricostruire un ambito di complicità, valorizzare il privilegio di essersi scelti, aprirsi a nuove forme di trasgressione in uno spazio safe.

Temi trattati

– la risposta sessuale nell’uomo e nella donna: affinitá e divergenze
– spazi in comune, spazi indipendenti: l’idea di privato in una dinamica di coppia–cosa scegliamo di condividere, cosa no
– la comunicazione: c’è ancora qualcosa che non riusciamo a dire?
– il tempo dell’amore: come ritagliarsi momenti a due nel tempo alienato della quotidianità
– la gratificazione: quanto conta sentirsi desiderabili agli occhi del/la partner
– conosci il tuo corpo, riconosci il tuo piacere: l’importanza dell’autoerotismo
– quante deviazioni hai? feticismi e parafilie: forme diverse di provare piacere
– sesso orale e anale: anche se pensiamo di conoscerli bene un ripasso non fa male
– role playing, dinamiche di dominazione/sottomissione, bondage: a che gioco giochiamo?

Metodologia
Ogni tema verrà affrontato con una presentazione teorica, una discussione e una dinamica (non necessariamente in quest’ordine).

Target
Il laboratorio è rivolto a coppie unite sentimentalmente da poco o molto tempo, sia etero che omosessuali, poliamorose o monogame. Ogni orientamento sará rispettato, con la consapevolezza che il confronto tra esperienze e opinioni diverse arricchisce. Consegneremo un questionario previo per conoscere anticipatamente le tendenze ed eventuali punti critici di ogni coppia.

Non è richiesto un alto livello di disibinizione fisico (non sará necessario spogliarsi ne’ sperimentare in loco le proposte creative sulle quali ci confronteremo) ma è indispensabile la voglia di condividere il racconto della propria relazione, per farla diventare una risorsa esperienziale collettiva.

Tempistica
Arrivo alle 12 di sabato 21 gennaio. Prima presentazione e a seguire pranzo
Nel pomeriggio attivitá e a seguire cena.
Le attivitá ricominciano domenica 22 alle 10 per concludersi intorno alle 16.30/17

Quota di partecipazione: 170 euro a coppia (la quota comprende tutti i pasti e l’ospitalitá)

Il numero minimo di partecipanti è 10 persone e il massimo 16 – la quota è calcolata sulla base del numero minimo di partecipanti: nel caso si superasse la quota verrá abbassata proporzionalmente.


prenotazioni: andrea@artietradizioni.it – tel: 3385812914

per maggiori informazioni potete scrivere a ziaslavina@gmail.com

e se volete sapere cos’è Arti e tradizioni guardate qui

Trentanni Forti

ho perso la deadline per consegnare il mio raccontino sul Forte Prenestino, che in occasione del trentennale pubblicherá anche un libro collettivo che raccoglie le memorie di chi lo ha attraversato.
non riuscivo a scrivere qualcosa che mi sembrasse completo, volevo dire tutto e non riuscivo a dire niente così oggi mi sono detta Devo dirne almeno un po’
poi non lo so se finisce nel libro, ma intanto chi vuole lo puó leggere e io faccio pace con me stessa pubblicando una cosa che poteva essere meglio ma intanto questa è…
d’altronde
il perfetto è nemico del possibile
(noi ragazzi dei Centri Sociali lo sappiamo bene)

 

 

per raccontare il Forte devo mettere ordine in piú di vent’anni di ricordi e solo a pensarci mi prende una dolce vertigine.

per me il Forte è stato un posto pieno di prime volte, una porta spalancata sul mondo che volevo, un’esperimento di vita, qualcosa che travalica qualsiasi tipo di scrittura che posso immaginare. peró ci provo lo stesso, perchè se Ho cancellato impossibile dal mio vocabolario lo devo anche a quel pezzo (grosso) della mia vita che si è sviluppato lá dentro.

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Pablo è vivo

(un dolce commiato senza pretese)

sono giorni tristi per la comunità dell’attivismo e delle lotte sociali di Barcellona.
domenica scorsa se n’è andato Pablo, uno dei protagonisti più vivaci e instancabili dei movimenti degli ultimi anni.
Quando un vivo s’uccide c’è grande effervescenza fra i vivi. diceva il poeta.
quando un compagno o una compagna decidono di lasciare questo mondo nel petto di chi resta si apre un baratro fatto di rimorsi, rimpianti e un senso di colpa difficili da superare. manca il fiato.
(lo sconforto in spagnolo si chiama desaliento, perché è vero che fatichi pure a respirare, figuriamoci il resto)
soffriamo pensando che dovremmo aver fatto più attenzione, avuto più cura, amato di più e meglio. il suicidio ci interroga sul nostro valore come amici, come compagni di strada e di lotta, come esseri umani.
e ogni suicidio richiama gli altri che abbiamo vissuto da perdenti, con questo dubbio dilaniante – che letto a mente lucida è idiota – del “forse avrei potuto evitarlo”.
ogni vita è quella che doveva essere, io me lo ripeto da un po’ di anni e cerco di crederci. non è un’autoassoluzione facile, è che a certe cose, per quanto ti sforzi, non riuscirai mai a dare una ragione.

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Uno stupro amichevole – reload

(è una versione leggermente diversa da quella originale. più matura direi.
è stata pubblicata su LASPRO rivista di narrativa sociale)

non sei sola (foto di Svalilla dal laboratorio Io Porno, Bologna 2015)
non sei sola (foto di Svalilla dal laboratorio Io Porno, Bologna 2015)

Due anni fa, all’inizio dell’estate, ebbi una conversazione illuminante con alcune amiche. Parlavamo di violenza sessuale, nello specifico di quelle che avevamo subito.
Io, un po’ smargiassa, sostenevo di non essere mai stata violentata. Mi vantavo un po’ di una serie di feature animalesche sviluppate in quanto ragazza di borgata (l’occhio del ramarro, la velocitá della gazzella e l’istinto del riccio) che singolarmente e combinate tra loro m’avevano salvato letteralmente il culo in piú d’una occasione di pericolo. Riflettevo anche sul fatto che, pur essendo una psiconauta frequentatrice abituale della via dell’eccesso, in realtá non sono mai stata una sfasciona professionale, di quelle che si mettono nei guai per candore alcolico o ingenuitá chimica.
Neanche il tempo di sentirmi cosí sveglia e fortunata insieme che una delle amiche, guardandomi a lungo negli occhi mi dice: non vorrai dirmi che nessun amico t’ha mai stuprato?
E lí ho deglutito duro e pure se non mi ricordavo bene, ho sentito che non avrei potuto rispondere che no, nessun amico mi aveva mai violentato.
Perché ci sono violenze alle quali non abbiamo il coraggio di dare questo nome; perché è troppo duro ammetterlo, perché magari in quel momento abbiamo lasciato fare, perché uno strillo non ci stava e nemmeno uno spintone – ma perché poi?
A distanza di tanti anni mi chiedo ancora perché non ho avuto il coraggio e la forza di urlargli NOOOOO, CAZZO! e di allontanarlo con una legittima dose di violenza…

La storia è semplice e banale e credo assomigli a un sacco di altre.
Lui era un mio amico. Anzi, di piú. Quando avevo vent’anni e avevo giá alle spalle qualche anno di attivismo studentesco ebbi con lui una storia d’amore breve e abbastanza tormentata. Non viveva in Italia ed era un compagno di provata fede, sensibilitá e intelligenza. Aveva una decina d’anni piú di me ma a quei tempi uno che non avesse almeno un lustro di vantaggio non lo riuscivo proprio a considerare.
Duró poco ma fu un amore intenso e pieno di parole – a quei tempi ancora si scrivevano e spedivano lettere; fu un amore illegittimo e pieno di lacrime, perché io avevo un fidanzato che non volevo lasciare, anche se mi sembrava di essere follemente innamorata di quest’altro (a quei tempi lo chiamavo il complesso di Jules et Jim ed era una primitiva consapevolezza del fatto che un uomo solo né mi sarebbe mai bastato, né avrebbe potuto mai sopportarmi intera).
Insomma Goran (chiamiamolo cosí, che era il nome che gli davo nelle poesie – sí, ero un’attivista che scriveva poesie e indossava minigonne di pelle blu elettrica – proprio normale non sono mai stata) mi tolse definitivamente di dosso il peso della forzata innocenza monogamica e poi partí per il Messico, paese dove soggiornava regolarmente durante gli inverni europei. Io intanto mi ero giá follemente innamorata di qualcun altro e lo persi un po’ di vista.
Lo ritrovai su Internet, alcuni anni dopo. Mi mandava mie foto che trovava in giro per la rete e mi diceva sempre che ero tanto bella.
Poi un giorno mi scrisse che veniva a Roma, per una mostra. Che se lo passavo a salutare, che aveva un sacco voglia di vedermi e sapere che facevo e come mi andava.
Mi andava male, mi sembra di ricordare. Risposi con entusiasmo alla sua mail e ci vedemmo la sera stessa. Era abbastanza uguale a come lo ricordavo: bassetto, biondo e con gli occhi belli, di un’intelligenza un po’ crudele. Aveva piú panza di quanto ricordassi e glielo feci notare.
Io ero stanca e dopo due canne mi sentivo una donna da buttare.
Non ricordo dove fosse la mia casa a quei tempi. Sicuramente troppo lontana, tanto che lui mi disse: se vuoi puoi fermarti a dormire da me, ho una stanza in un hotel qua vicino, tranquilla.
Ora, qualsiasi persona di buon senso che abbia vissuto anche solo pochi mesi della sua vita a Roma sa che “Tranquillo ha fatto una brutta fine”, ma come potevo non fidarmi di lui? Del compagno fondatore di riviste insurrezionaliste che aveva respirato la puzza dei piedi del subcomandante Marcos, dell’amico che m’aveva regalato un coltello, perché puó sempre servire, dell’idolo che praticava la rivoluzione permanente, dell’uomo che m’aveva sedotto raccontandomi per filo e per segno la dinamica di non so che riot di inizio anni ‘80 come se fosse la battaglia di Magenta…
Mi fidai. Salimmo in camera sua. Neanche avevamo cenato: mi buttai sul letto a peso morto e gli dissi: Domattina facciamo una bella colazione, eh?
Lui mi disse: Ti faccio un massaggio. Io gli dissi Ah non lo rifiuto di certo, peró sappi che ho sonno e ho bisogno e voglia di dormire. Lui mi disse un’altra volta Tranquilla.
Il resto è confuso e amaro di sapore. Mi tolgo la maglietta (Sennó, scusa, che massaggio è?) e affondo la testa nel cuscino.
Lui mi tocca la schiena per una decina di minuti, nemmeno, e poi si fionda sul culo. Mi vuole togliere le mutande. Io gli dico che no, ma evidentemente la protesta è troppo blanda. Sono stanca morta e comincio a capire come andrá a finire. Gli dico Dai Goran, magari domattina, è che adesso ho proprio sonno. Mi dice mettiti giú, tranquilla. Mi giro di spalle e cerco di pensare che non sono lí. Si avvicina, mi infila la faccia nella fica, poi ci mette un dito, due dita. Si muove lí dentro, mi allarga, si fa strada. Io sbuffo, mi tiro su e gli dico Ma che fai? Lui sorride e io mi sento una merda. Rimango seduta, tutta rannicchiata: mi bacia e vuole guardarmi negli occhi. Io abbasso lo sguardo e provo a dire È che non mi va e giro la testa, ma lui mi segue, mi infila la lingua in bocca, mi da un milione di odiosissimi bacini sul collo, sulle guance, dovunque arrivi.
Io sento che a sto punto dovrei piangere ma non mi va di piangere, vorrei solo dormire e allora mi rimetto giú e m’affogo nel cuscino.
Lui lo prende come un via libera e a quel punto fa tutto da solo. Sono troppo mortificata per fare qualcosa di diverso dal subire. Penso che se smetto di resistere magari finisce prima.
Si mette un preservativo, entra, stantuffa e se ne viene in un tempo che mi sembra lunghissimo, durante il quale penso che sono una stupida e che è colpa mia, che qui non ci dovevo venire e che questa storia non la sapró mai nemmeno raccontare.
Non mi ricordo la mattina dopo, so che da allora ho sempre accuratamente evitato di incontrarlo. L’ho odiato e non gliel’ho mai saputo dire.
Ho odiato me stessa per non aver saputo reagire. Per tanto tempo ho rimosso il ricordo di quella notte in cui mi sono sentita usata, tradita, insultata.
Eppure alla fine a me stessa sono riuscita a perdonare tutto: l’ingenuitá, l’incapacitá di reagire e il silenzio.
Lui non l’ho perdonato, e in fondo neanche mi interessa piú farglielo sapere. Ho fatto talmente tanti chilometri che ho smesso di considerare questa storia una questione personale.

Penso sia piú utile raccontarla alle donne – e soprattutto agli uomini – che la sapranno ascoltare.

la fine di un amore – paesaggio sonoro

foto di Claudia Pajewski

lo sferragliare feroce del tram
il cicaleccio fastidioso di uno scontrino
quel singhiozzo che smetti di trattenere
il fischio della caffettiera che ti sveglia
il clangore di un cancello che si chiude
il fruscio di una lampo che sale
il silenzio improvviso delle cicale
il ticchettio accelerato dell’inizio del temporale
l’urlo di una sirena nel cuore della notte
il “Favorisca i documenti”
l’eco del tuono che rimbalza nel tuo petto vuoto
il rombo sordo della valanga
la voce gracchiante del capotreno che annuncia la fine della corsa
il trapano del dentista
lo scivolare silenzioso di una lacrima
il grido del cristallo che s’infrange
la tua voce che s’incrina quando dici “Va tutto bene”
l’ululato del vento che ti graffia le orecchie
le unghie sulla lavagna
la scivolata fuoritempo del dj troppo fatto
un telefono che squilla disperato
la neve che scricchiola sotto i piedi
l’ultimo crepitare di un fuoco che muore

il rumore dei tuoi passi che si allontanano

Genova per noi

Quest’inverno ho partecipato al progetto Tifiamo Scaramouche scrivendo un racconto sul G8 di Genova e sull’estate in cui entrammo nell’era del terrore globale.
Ho rimesso le mani in una memoria ancora dolorosa (lo abbiamo capito subito che le ferite di Genova non si sarebbero mai rimarginate) con il proposito ambizioso di raccontare la Storia attraverso alcune microstorie che la attraversarono.

È un piccolo, affettuoso e provocatorio omaggio a Candida TV (collettivo di cui ho fatto parte per alcuni, decisivi anni) e a chi la componeva.

Genova per noi è come sempre di una storia vera piena di bugie e i 4 personaggi che hanno voce nel racconto ne rappresentano molti di più.
Qua sotto ne potete leggere un estratto, per leggerlo per intero (e un sacco di altra roba interessante) scaricatevi le raccolte di Tifiamo Scaramouche.

Selma

A Genova i giorni prima del vertice sono pieni di un’allegria tesa. Montiamo il Media Center alla Pascoli, una scuola. Dall’altra parte della strada c’è la Diaz, che sarebbe diventata tristemente famosa ma noi ancora non lo sappiamo. Ci muoviamo in un’atmosfera irreale, in cui la paranoia si mischia all’entusiasmo. La città è blindata, la zona rossa (quella in cui si svolge il vertice) è protetta da inferriate alte più di due metri e quando le guardi non puoi evitare di pensare a quanto gli facciamo paura.
Asso aveva ragione, stare insieme è un’esperienza esaltante, è sentirsi parte di una cospirazione mondiale perché respiriamo insieme, mangiamo insieme, fumiamo insieme, dormiamo insieme, andiamo insieme pure al bagno. Ci si conosce e ogni giorno ci si innamora un po’. É di questo che hanno paura?
Le assemblee sono un po’ un casino perché poche persone parlano inglese e c’è sempre da tradurre e io penso a Custer e mi dispiace che non ci sia. Credo dispiaccia un bel po’ anche a lei, che col gruppo si fa sentire di meno ma con me si lamenta in privato e mi chiede che fa Asso. Io glisso, anche perché ho perso il conto di quelle che gli stanno intorno. E non le racconto nemmeno che certe volte mi parla di lei con gli occhi lucidi, mi limito a dirle che ci manca ma non insisto troppo, che lo so che ci sta male.
Poi, dopo un preambolo che è sembrato un secolo breve arriva il giovedì, il primo giorno di manifestazione. La piazza è dei migranti ed è piena di colori e musica e sembra tutto bellissimo e tranquillo. La polizia mantiene le distanze e ci illudiamo che le minacce dei mesi scorsi rimarranno lettera morta. La sera festeggiamo pure e io mi porto nel sacco a pelo un tipo di Milano che invece non si fida per niente e che nemmeno mentre scopiamo smette di dire che c’è poco da stare allegri, che domani sarà un casino.
Il venerdì infatti è un giorno delirante. Già da prima di mezzogiorno cominciano gli scontri. Noi siamo col blocco rosa, il nostro supereroe mascherato riesce quasi a scavalcare le recinzioni, c’è un’aria ancora festosa anche se via telefono ogni tanto arrivano notizie allarmanti. Il sole cuoce e ogni volta che ci fermiamo un attimo per bagnarci un po’ la testa e facciamo due telefonate per sapere come va nelle altre piazze la preoccupazione brucia ancora di più, dentro.
Io mi nascondo dietro la telecamera, come faccio sempre, ma a un certo punto mi devo fermare perché non so se sia la stanchezza o che altro ma la mia mano trema. Asso è di nuovo al telefono, la maschera arancione alzata e la faccia scura. «Preparati che ci muoviamo verso piazza Alimonda. Non ho capito bene ma dev’essere successo un casino serio».
Camminiamo quasi di corsa, ho come l’impressione che Asso sappia di più di quello che dice, deglutisce a fatica e se non lo conoscessi bene direi che piange o meglio, gli sfuggono delle lacrime dagli occhi. Io sono stanchissima e arranco e così a un certo punto mi prende la mano e mi trascina. Cammina troppo veloce tanto che dopo un po’ gli dico che mi sta facendo male e che dove cazzo corre come un pazzo e allora lui si gira e mi guarda con gli occhi rossi spalancati e mi dice in un soffio che c’è scappato il morto, che non si sa chi è ma se stava coi Disobbedienti sicuro che lo conosciamo. E allora Asso, la nostra carta vincente, il nostro supereoe, quello che se ha paura è capace di non darlo a vedere, va in pezzi. Io sono paralizzata dal terrore e dal dolore mentre lui mi abbraccia singhiozzando. Dura forse due minuti, ci teniamo stretti come se intorno ci fosse un terremoto e poi all’improvviso ritorniamo dritti, con un’elettricità nelle gambe che ci fa arrivare a destinazione in un lampo.

Tisi

Eccola che arriva. Sempre con quella cazzo di telecamera in mano e ovviamente accompagnata da quel buffone napoletano, che è fidanzato con Custer ma gli sta sempre appiccicato al culo. Un giorno glielo vorrei proprio chiedere, se scopano pure in tre.
Io con Selma non ci ho scopato, però ci siamo baciati e toccati e ci è mancato proprio pochissimo… però sembra che lei non si ricordi. Effettivamente stavamo belli stonati, ma com’è che io mi ricordo benissimo e ci sono pure rimasto sotto e lei invece mi saluta sempre solo da lontano? Politicamente non ci capiamo proprio, lei fa tutta la rivoluzionaria però usa gli strumenti del padrone. «È che io lavoro col video, con Linux è impossibile». Impossibile un cazzo. Impossibile è che uno rimanga morto ammazzato in una manifestazione e invece oggi è successo, e io ero lì di fianco. La camionetta dei carabinieri non ripartiva e gli stava arrivando addosso di tutto e due serciate gliele avrei date volentieri anch’io, solo che stavo sudando sotto quella cazzo di maschera, così mi sono fermato un attimo ad asciugarmi e siccome non ci vedevo mi sono messo di lato e mentre non guardavo ho sentito lo sparo. Che l’ho capito dopo che era uno sparo, quando ho visto quel tipo nella pozza di sangue. Chi cazzo l’aveva mai sentito uno sparo? Beh, comunque non mi era sembrato un botto di Capodanno.
Così adesso l’ho buttata, quella maschera che m’ha salvato la vita. Non me la potevo mica tenere, che magari qualche stronzo con la telecamera m’ha ripreso – e ce ne stavano diecimila, oltre alle guardie. M’occupava una cifra di spazio nello zaino ed era scomodissima da portare, ma un po’ ci tenevo.
L’avevo trovata a Porta Portese, la mattina dopo un rave. Ci ero arrivato proprio con Custer, per una volta in libera uscita senza Asso. Stavamo tutti morbidi e sospironi, in piena discesa, e tra i colori del mercato era spuntata quella macchia nera.
«Aó, anvedi Pulcinella, è il tuo fidanzato che ci perseguita» le avevo detto. Lei aveva rosicato – «Oh mica è colpa mia se è geloso e napoletano» – e quindi attaccato la pippa da professoressa: «Guarda che questo non è Pulcinella, è Scaramuccia. Mentre Pulcinella ha sempre fame, Scaramuccia ha sempre voglia di litigare. Come te».
Custer m’azzitta sempre e mica solo perché ha fatto il dams. Perché è più grande e ci conosciamo da una vita e lei è sempre un passo avanti. E infatti non ci si è messa, in questa carneficina.
E invece noi sì e siamo qua ad aspettare, hanno chiuso piazza Alimonda e non fanno entrare nessuno e io non lo so mica cos’é che aspetto, dovrei squagliarmela ma non ce la faccio, e adesso è arrivata pure lei…

[continua…]

Supervideo >>> G8 (il video di Candida a Genova) lo trovate qui.

10 anni

sono passati 10 anni.
10 anni da quando sono atterrata all’aereoporto di Girona, piena di paura e di speranza.

il biglietto mi era costato 20 euro, solo andata.
avevo detto a mia madre Forse torno, forse no.
in cuor mio sapevo solo che me ne volevo andare. che me ne dovevo andare.

e se ci penso mi viene la pelle d’oca e pure un po’ da piangere, non solo per il mio autoriferito romantico ricordo ma pensando a chi per cercare un futuro migliore paga molto piú di quanto abbia pagato io – e trova un presente di merda, di rifiuto e razzismo.

sono stata fortunata. si dice che la fortuna aiuti gli audaci ed è vero che un po’ di coraggio ce l’ho messo…
ma questo post è per ringraziare tutte le persone che ho incontrato per il cammino e che mi hanno aiutata, sostenuta, incoraggiata, amata.
non è stato sempre facile, ma se è stato possibile lo devo a voi – che anche se vi ho un po’ perso nel cammino ci siete sempre e abitate il mio cuore grato.

han pasado ya 10 años.
10 años desde el dia en que llegué al aeropuerto de Girona, llena de miedo y de esperanza.

un billete de avión por 20 euros, solo ida.
habia dicho a mi madre: Quizás vuelva, quizás no.
en mi corazón sabia solo que me queria ir, que me tenia que ir.

y si lo pienso tengo piel de gallina y me dá por llorar, no solamente por mi recuerdo romantico personal sino porqué pienso a quien migra en busca de un futuro y paga mucho mas de lo que yo pagué – y encuentra un presente de mierda, de rechazo y racismo.

he tenido suerte. fortuna audax iuvat y es verdad que un poco de valor lo he tenido…
pero este post es para agradecer todas las personas que he econtrado por el camino y que me han ayudado, suportado (y soportado), animado en los momentos tristes, querido.
no ha sido siempre facíl, pero si ha sido posible se lo debo a vosotras – que igual os he perdido un poco el rastro, porqué la vida da muchas vueltas – pero siempre teneis un sitio especial en mi corazon agradecido.

La lega del filo rosa [May Day 2004]

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Articolo xy
L’Italia e’ una Repubblica fondata sulle relazioni.

Non e’ piu’ il lavoro il collante sociale che garantisce una sopravvivenza
dignitosa, siamo piuttosto imbrigliati tra *famiglie*, amicizie, affinita’
e altre forme di legame piu’ o meno convenzionali che sono l’ultima (e
unica) rete di sicurezza che ci e’ concessa.

Alla Mayday di Milano, partendo dal Blocco Rosa, invaderemo la parata
cercando di rendere visibile e tangibile questa rete attraverso azioni
performative includenti e interattive.
Molteplici fili rosa costruiranno improbabili architetture, lanceranno
ponti, intrecceranno collegamenti.
Fili fragili e precari come le nostre esistenze, pronti a spezzarsi e a
riallacciarsi liberamente a rappresentare i legami come li vogliamo,
basati sul consenso e sul gioco (intrecci a maglia larga, non nodi, dai
quail ci si possa sfilare senza la necessita’ di spezzarli).

Se abbiamo perso il filo del discorso, riannodiamo i fili della
comunicazione. Badando bene che siano fili rosa 😉

Empowerpink: si insinua nell’etere come un profumo, cattura il nervo
ottico come un fascio di luce nella penombra.
Porta il tuo filo rosa e intrecciati: la rete si muove e si espande.

Facciamoci il filo come innamorat* discretamente invadent*.

… e sopra di noi, a vegliare sul grande spettacolo rosa, Spider Mom: la
mamma ragna, che a volte ritorna per insegnarci un nuovo stile di
tessitura: una la disfa, un’altra continua!

(comunicato del Pink Bloc risalente al 2004, che annunciava una performance abbastanza delirante che feci all’interno della May Day Parade, tra le altre cose.
sembra ieri, ma sono passati piú di 10 anni. e l’analisi e l’invito mi sembrano piú che mai attuali.

alcuni di quei fili si sono aggrovigliati, altri sono diventati delle corde robuste che mi tengono su quando mi domando che senso abbia il mio impegno e se ancora valga qualcosa.
oggi che è primavera e che ho sconfitto l’inverno del mio proprio scontento mi dico che sí che ne è valsa la pena, che il rosa ci ha liberato, ci ha aiutato a creare degli spazi di autonomia e ha dato voce a molti soggetti che nel contesto della militanza tradizionale non trovavano spazio.
non saró per le strade di Milano a contestare l’infamia di Expo, ma di sicuro ci sará una parte di me: quella che ho seminato e coltivato in questi anni insieme a tanti e tante altre.
e scusate l’ardire e il personalismo, ma ne vado abbastanza fiera.

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che siate rosa, rosse, nere o verdi la zia vi penza e v’accompanza, adelante)

Io porno – immagini del desiderio

LESBICHE FUORISALONE
Lesbian & Queer cultural harassment

presenta

 

IO PORNO – immagini del desiderio
un esperimento di autoproduzione pornografica per donne, lesbiche e trans

 

immagine di Francesca Woodman

Il laboratorio si propone come spazio di riflessione e creazione di immagini che possano rappresentare la nostra bellezza e il nostro desiderio fuori dagli standard mercantili e dell’oppressione patriarcale.
Vogliamo riappropriarci della visione di noi stesse come soggetti carnali e riscoprire la potenza evocativa di un erotismo che superi le finzioni plastificate dell’immaginario mainstream.

Il percorso di ricerca che proponiamo per la giornata del 14 febbraio si aprirà con un momento dedicato alla teoria e alla conoscenza: ci scambieremo informazioni e materiali diversi sul sesso e sulla sua rappresentazione per preparare la seconda parte del laboratorio, quella in cui cercheremo di ricreare, attraverso delle sessioni fotografiche, immagini che rispecchino le nostre fantasie e l’idea del nostro sé desiderante e desiderabile.

Il laboratorio è organizzato e promosso dal festival Lesbiche Fuorisalone, è riservato a donne, lesbiche e trans, ha un costo di 30 euro e si terrá alla Casa delle donne di Milano nella giornata di sabato 14 febbraio, dalle 11 alle 20.

La quota di partecipazione va versata in anticipo.

Per informazioni ed iscrizioni scrivere a lesbiche.fuorisalone@gmail.com
Ogni partecipante deciderá in autonomia il suo livello di implicazione e i materiali prodotti all’interno del laboratorio rimarranno di proprietá delle partecipanti (decideremo insieme se e come utilizzarli, nel caso avessimo voglia e ci fosse la possibilitá di farne un uso pubblico)