Category Archives: perle

sin putas no hay revolución

oggi è il 17 dicembre, giornata mondiale contro la violenza nei confronti delle/dei sexworkers e la vorrei celebrare condividendo il trailer di un video che ho visto ieri sera e che mi ha chiarito una delle accezioni possibili dello slogan Sin putas no hay feminismo.

all’autrice Nuria Güell (una artista catalana che ammiro moltissimo, il cui lavoro spesso analizza il funzionamento delle istituzioni con l’obiettivo di sabotarne i meccanismi di controllo e oppressione) interessava esplorare la relazione tra Patria e Patriarcato, quindi per carpire i segreti della maschilità [egemonica] ha deciso di contrattare alcune prostitute e costruire questo saggio audiovisuale in 12 capitoli (De Putas, un ensayo sobre la masculinidad) che apre un spiraglio molto interessante sulla parte in ombra dell’essere uomo – e che va molto al di lá dell’ambito esclusivamente sessuale, è proprio questione di identitá.

il “campione” delle prostitute è abbastanza limitato (ce ne sono alcune che lavorano in casa e altre che lavorano sulla strada, in totale le intervistate sono sette) ma rappresentativo – molte di loro parlano anche della prostituzione da club di alterne [sono una sorta di bordelli travestiti da night club che qua in Spagna prosperano in un limbo ai margini della legalità] e ovviamente per ogni settore l’approccio del cliente è diverso – cosí come differenti sono i livelli di insicurezza e di rischio di subire violenza.

il ritratto del maschio che ricorre ai servizi sessuali a pagamento è quasi sempre terrificante (sebbene invece possa sorprendere la eterogeneità delle esigenze vitali che il rapporto con la prostituta copre), ma non tanto perché il lavoro sessuale sia intrinsecamente degradante, come le proibizioniste ci vorrebbero far credere: proprio per il posizionamento che questa attività ha nella scala di valori della nostra società ipocrita e perbenista – e quando parlo di questa attività mi riferisco in generale al sesso, non solo a quello a pagamento.

uomini che pagano per lamentarsi ed essere ascoltati, uomini che pagano per essere sottomessi e dominati, uomini che ancora si vergognano a chiedere *certe cose* alle legittime consorti (che anno èeeeeeee, che giorno èeeeeee), uomini che pagano soltanto per sentirsi dei maschioni davanti agli amici e cosa poi veramente succeda dentro quelle stanze è un mistero: è quel mistero che, se venisse alla luce, forse darebbe la spallata definitiva a questo patriarcato che da un coma pluriennale continua a farci del male, pur di non schiattare definitivamente.

è per questa ragione che l’alleanza con le sorelle puttane è vitale e importantissima – innanzitutto perché è assolutamente insostenibile una posizione proibizionista quando sono in gioco non solo i diritti a livello lavorativo ma proprio le vite di tante, tantissime persone [ come ricordava ieri sera la brillante Lucia Egaña è importante usare la parola proibizionismo al posto di abolizionismo, poiché quest’ultimo definisce delle lotte di liberazione – dal carcere, dalla segregazione razziale – infatti la prostituzione si proibisce e il lavoro si abolisce. chiaro, no? 😉 ] e poi proprio per quanto sono preziose le informazioni ed essenziali i saperi che si sviluppano in quella zona d’ombra in cui si avventurano solo quelle tra di noi più generose, audaci o disperate.

e sia il film di Nuria che questo mio umile contributo sono pieni di affetto, rispetto e sorellanza per loro.

Lemebel, il film di Joanna Reposi

dopo la bellissima serata al Gender Bender, Lemebel è diventato ufficialmente Pedro nostro.

mio lo era da un po’, da quando lessi per la prima volta Manifiesto e scoprii il poeta cileno “figlio del fornaio” che rivendicava il punto politico sovversivo della sua omosessualitá contro le logiche sessiste e maschiliste di tanta Sinistra

e non mi stancheró mai di ringraziare e osannare Edicola Edizioni per aver pubblicato in italiano Di perle e cicatrici, generando tutto un movimento collettivo di amoroso interesse intorno alla figura di Pedro.

una persona capace di generare amore e rispetto al tempo stesso: della radicalitá di Lemebel questo è il tratto che mi sembra piú significativo. non arretrare di un passo ma essendo capace di mantenersi dolce e accogliente, non compiacere mai il potere, deriderlo in qualunque forma si presenti, usare l’ironia e l’autoironia non semplicemente come armi ma come strumento di mediazione e interpretazione di una realtá a volte troppo dura da nominare – ma senza arretrare di un passo.

l’ho detto e lo ridico, che Pedro stava sempre nella prima linea del fuoco.

e questo documentario ce lo restituisce in tutta la sua tremenda grandezza, tremenda perché fa tremare, fa piangere pure chi arriva al cinema e non sapeva proprio chi cavolo era questa frocia meravigliosa venuta da un quartiere povero di Santiago, che usó la performance come linguaggio di contestazione giá negli anni della dittatura di Pinochet e successivamente la narrazione come performance – che quando Pedro racconta tutto è vero anzi piú che vero, è qualcosa che non solo leggi ma lo senti proprio che ti palpita in qualche punto del corpo e ti trasporta nei luoghi, te li fa vedere e vivere

e infatti per chi invece Pedro giá lo ama è molto emozionante vedere nel film alcuni dei luoghi che lui descrive nelle cronache, entrare dentro la sua casa e accompagnarlo in giro fino all’ultimo.

il documentario è un lavoro molto bello, non lo dico solo io – ha vinto la Berlinale di quest’anno. è un lavoro (sí, mi ripeto ancora) pieno di amore, per la persona e per il personaggio, per tutto quello che Pedro per tanta gente ha significato.

la regista è bravissima a costruire un momento di intimitá profonda, è capace di trasformare gli spazi chiusi in spazi aperti e viceversa e soprattutto di integrare formati tra loro diversissimi, costruendo una narrazione che ricorre tutta la vita di Pedro e che a volte è straziante e a volte è esilarante.

è un film che dovrebbe girare tantissimo e io spero proprio che riesca ad arrivare in Italia.

usos de lo erótico: lo erótico como poder

(ponencia presentada en el Cuarto Congreso de Berkshire sobre la Historia de las Mujeres, Mount Holyoke College, 25 de agosto de 1978)

Existen muchas clases de poder; los que se utilizan y los que no se utilizan, los reconocidos o los que apenas se reconocen. Lo erótico es un recurso que reside en el interior de todas nosotras, asentado en un plano profundamente femenino y espiritual, y firmemente enraizado en el poder de nuestros sentimientos inexpresados y aún por reconocer. Para perpetuarse, toda opresión debe corromper o distorsionar las fuentes de poder inherentes a la cultura de los oprimidos de las que puede surgir energía para el cambio. En el caso de las mujeres, esto se ha traducido en la supresión de lo erótico como fuente de poder e información en nuestras vidas.

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un tempo per raccogliere

[un piccolo omaggio alla mia occupazione preferita nei tramonti di fine estate.
scritto e buttato online senza neanche rileggere: sto incartata su una roba impegnativa e avevo bisogno di buttar giù una storia piccola e porca in prima persona]

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Raccolgo more nel cammino sterrato appena fuori dal paese.

Ho un vestitino corto di cotone leggero, che mi piace tanto come mi si stringe addosso ma trovo un po’ imbarazzante, per altri versi: è bianco a fiorelloni colorati e mi fa sembrare una che non s’è arresa alla sua etá.

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La notte è nostra*

Scommettiamo su un femminismo che ci definisca per ciò che facciamo, non per ciò che dica che siamo. Scommettiamo su un femminismo autocritico, dall’interno verso l’esterno, che riveda le nostre pratiche quotidiane, le nostre relazioni. Un femminismo che sia capace di smascherare tutti gli spazi che il patriarcato occupa nelle nostre vite. Che lo affronti e non rimanga in silenzio.

Un femminismo che non sia una toppa su una maglietta, una spilla in più, una posa plastica. Un femminismo che ci insegni a riconoscere il poliziotto patriarcale che anche noi abbiamo dentro, e che vogliamo distruggere tanto come la polizia fuori. Scommettiamo su un femminismo che sia un processo capace di liberarci e che sia capace di riconoscere i privilegi che oggi ci permettono stare qui: abbiamo la possibilità fisica di spostarci, non ci hanno deportate, non siamo rinchiuse per una diagnosi o una sentenza, non siamo una delle 80 donne assassinate nel 2015, o delle 17 dall’inizio del 2016.

Non siamo nemmeno nessuna delle molte persone trans, le cui morti neppure si prendono in considerazione nelle statistiche sulla violenza di genere. La Eteronorma esclude e aggredisce ogni giorno, decidendo chi è valida e chi no, in un sistema che castiga la differenza e la dissidenza. Alan**, non ti dimentichiamo, e neanche a moltx altrx. Davanti alla normalizzazione delle violenze, vogliamo costruire una risposta collettiva che organizzi la nostra rabbia. Davanti alla norma etero, resistenza e provocazione costanti.

No, non ci siamo tutte e non ci stancheremo di ripeterlo. Mancano le nostre sorelle imprigionate, le psichiatrizzate, le deportate, quelle che portano sulle spalle tutte le cure alle loro famiglie o alle famiglie di altre-i, quelle che hanno un lavoro di merda e non possono lasciarlo, quelle che vivono relazioni di controllo e di violenza, quelle che non hanno avuto il diritto di migrare.

No, non siamo tutte e non ci fermeremo finchè nessuna mancherà. Il femminismo non può essere solo per bianche, non può essere solo di classe media, per accademiche, cis e eterosessuali. Per questo scommettiamo per un femminismo che faccia scoppiare le frontiere, le prigioni, i privilegi e le taglie. Per questo scommettiamo su un femminismo che vada su sedia a rotelle, che cammini nell’oscurità, che vibri, che si adatti ai ritmi di ognuna, che si accompagni. Un femminismo generato dalle nostre distinte capacità, non le nostre capacità adattate al femminismo.

Un femminismo che metta al centro la cura. Siamo stufe del produttivismo, di essere schiave delle agende, di lavori che ci rubano la vita, che i nostri progetti vitali svaniscano di fronte al ritmo capitalista e finiscano in secondo piano, e noi con loro. Siamo stufe della precarietà affettiva e materiale.

Per questo, stanche, passiamo all’azione:

Ci organizziamo con le nostre vicine per affrontare faccia a faccia gli speculatori del quartiere; condividiamo saperi sulla salute, recuperiamo il riposo e rivendichiamo la pigrizia. Okkupiamo spazi dove incontrarci e tessere reti; ci organizziamo con compagne di lavoro e affrontiamo il capo e l’aggressore; dedichiamo tempo e costanza alle nostre illusioni, ai nostri aneliti e desideri; creiamo gruppi di autodifesa e ci alleniamo; generiamo insieme alternative al consumo e lottiamo per l’autogestione delle nostre vite; ci accompagnamo e ascoltiamo nei nostri processi e riparazioni. Insieme affrontiamo l’abuso da dovunque esso provenga, qualunque sia la sua origine. Mettiamo in discussione le vecchie e nuove mascolinità con colpi e risate fragororose. Impariamo a riciclare, a rubare, a mentire, e lo facciamo senza colpa. Neghiamo essere ragazze fighe per il Capitale e difendiamo le nostre mostruosità.

Scommettiamo su un femminismo che continui ad affrontare apertamente le facce della Politica, che non si conformi, che non si compri, che non si venda, che non creda alle sue politiche truccate. Non vogliamo un femminismo recuperato dallo Stato, e nemmeno un femminismo soprammobile.

Il patriarcato non si distruggerà nelle urne, e lo sappiamo. Non ci adegueremo agli uffici, gli assessorati e le sovvenzioni. Vogliamo un femminismo di lotta costante nelle strade, nelle case e in tutti gli spazi.

Scommettiamo su un femminismo che cominci con ciascuna di noi, che si costruisca con le mani delle nostre amiche, un femminismo collettivo, gomito a gomito, quotidiano e combattivo. Un femminismo che non risponda a gerarchie e a rappresentazioni, un femminismo autonomo e orizzontale.

Scommettiamo su un femminismo che sono molti femminismi, che non è un obiettivo, è un cammino, una posizione davanti al mondo, un punto di partenza. Un femminismo che prende la strada oggi, come ogni anno, per gridare ben forte che LA NOTTE È NOSTRA!

(immagine di Lara Mazagatos Pascual)
(immagine di Lara Mazagatos Pascual)

* traduzione fatta con amore e rabbia dalla mia amica Zebra: è il testo di lancio della manifestazione notturna La nit es nostra, che ha inaugurato le giornate femministe di Se va a armar la gorda (Barcelona)

** Alan è un adolescente trans morto suicida alla fine dello scorso anno. ne ha scritto Preciado (qui, tradotto)

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traduzione fresca fresca – dal Feis (come dice mia sorella) di Ana Elena Pena

 

contenuto riportato al dominio pubblico, autoria desconocida
contenuto riportato al dominio pubblico, autoria desconocida

 

Che ti possano amare rabbiosamente, fino al midollo,
che si faccia luce fino nell’ultima cellula.
Che tu possa trovare chi ti adori in pigiama, coi capelli sporchi e appiccicati, le unghie rosicchiate e la smorfia cupa di quei giorni in cui vuoi solo morire o uccidere o tutte e due le cose.
Che possano addomesticare con polso saldo i mostri che dormono sotto il tuo letto, celebrino tutte e cadauna le tue sconfitte e ascoltino ipnotizzati il tuo lato oscuro.
Che tu possa meritare e che ti meritino senza nessun dubbio
e una cazzo di volta per tutte.
Che possano non sbagliare la mira
e tu cada fulminato davanti all’evidenza
che questa volta, SI.

 

 

(versione originale di Ana Elena Pena, artista poeta artigiana che io ammiro e a cui voglio anche bene – qui tutti i post del blog che le ho già dedicato, qui il suo sito dove potete assumerla in diversi formati – fa di tutto!)

 

Ojalá te quieran rabiosamente, hasta el tuétano,
y se haga la luz hasta en la última célula.
Ojalá encuentres a quien te adore en pijama, con el pelo revuelto y sucio, las uñas mordidas y el gesto sombrío de esos días en los que solo quieres morir o matar o ambas cosas.
Ojalá domestiquen con pulso firme a los monstruos que duermen debajo de tu cama, celebren todas y cada una de tus derrotas y escuchen hipnotizados tus caras B.
Ojalá merezcas y te merezcan sin lugar a dudas y de una puta vez.
Ojalá no yerren el tiro,
y caigas fulminado ante la evidencia
de que esta vez, SÍ.

la fine di un amore – e 3

22
LETTERE A UNA GIOVANE POETA – Adrienne Rich
1.
La foto non ti renderà giustizia
i formicai umidi e gibbuti t’impediranno di puntare
la lente sulla palude
 
i cinque cigni che sorvolano stridendo
distraggono la tua sete di definizione
e fuga
 
 
2.
 
lascia che tiri la tua vestaglia gelida e che
ti dica una parola: Ineluttabile
 
– intendendo che a questo non sfuggirai:
la peggiore delle nuove nuove
 
la storia corre avanti e indietro
nel labirinto panico
 
– io non ti toccherò di nuovo:
tua la scelta se congelare o meno
 
voglio dire, tu ed io siamo chiusi
in un laboratorio senza scienza
 
3.
 
T’allieterebbe pensare
che la poesia sia pura e possa come niente
 
prendere posto sotto bagliori di lampi
o coltri di nebbia vivere la propria vita
 
sgridata, zittita
da un lacerto di viscere che gronda nomi
 
– compositori visitano Terezin, registi Sarajevo
Cabrini-Green o Edenwald Houses
 
    ineluttabile
 
se una donna intensa quanto un qualunque artista, né più né meno
può gettarsi in un qualunque giorno giù dal quattordicesimo piano
 
ti solleverebbe sostenere  la poesia
con questo non ha a che fare?
 
4.
 
rivolta gli orli della tua distrazione
il suo rovescio sottomarino striato
 
dal flusso distruttivo del dolore
che erode e risucchia, tira e molla
 
avanti e indietro, un ordito di grotte, l’embrione della tua paura
che scalcia nel loro viscido lussureggiare protetto
dalla serra d’acqua
 
cercando, nella distrazione, di radicarsi saldamente
cercando di contrastare la corrente
di questo assurdo ripetersi
 
Guarda: con tutta la mia paura io sono qui
con te, a provare cosa comporta stare; cosa comporta andare
5.
 
Arenata. Barca a remi, piroga, presa
tra la più bassa e la più alta delle maree primaverili. Arenata. Avvenuta,
in stallo, arretrata, sí, essere generata
essere – l’infernale passivo
essere – come in Siedi, Stai, Sdraiati, Obbedisci.
Il desiderio terribile del cane che gli prende il cervello
e lo depone ai piedi calzati di stivali.
 
Tu puoi essere così per sempre – essere
come senza muoverti.
6.
 
Ma ecco come io, tuttavia, ne emergo:
spingendo in su da sotto
il capo avvolto in una sciarpa a scacchi
un casco con la torcia sulla fronte
spingendo fuori dal magma
questa faccia velata questa testa illuminata
che affronta il filtrare della morte
la bocca che ha nuotato tra i detriti
pronunciando con chiarezza
Ciao e addio
 
 
Tuttavia, chi vuole sapere
di questa bocca pallida, questo
rossetto cremisi Chi
delle mie corde vocali da travestito del mio amaro ritmare
l’occhiata in tralice che oltre la spalla getto
alle grandiose strofe e antistrofe
il mio canto, il mio ululato, i sacri resti delle mie unghie,
dei capelli, la mia dissenteria, la mia scandalosa gola allegra
 
la colonia penale del mio davanzale senza uccelli
la mia faccia giù in centro in film di Saffo ed Artaud?
 
Tutti.    Per poco
 
7.
 
Non è il déjà vu che uccide
è la preveggenza
la testa che parla dal cratere
 
Volevo andare dove
il cervello non fosse andato ancora
non volevo starci
così sola
 
di questa poesia meravigliosa, scoperta per caso qui, non ho trovato l’originale.
la dedico con tutto il cuore alle mie amate complici del Fuorisalone delle Lesbiche di Milano.

21

Ti ha toccata
l’ombra
ti ha rubato
le efelidi
Ci vorrá
tutta un’estate
per farle tornare

(Goliarda Sapienza da Ancestrale)

immagine da clickinmoms.com
immagine da clickinmoms.com

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la fine di un amore – supporti testuali (2)

15
Il Futuro – Julio Cortázar

E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il “tutto completo” delle sotterranee,
nei libri prestati e nell’arrivederci a domani.

Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
nè ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all’angolo della strada mi fermerò,
a quell’angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
nè qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
nè la fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.

(l’originale qui)

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la fine di un amore – supporti testuali

0.9
non so se è di qualche sollievo – oppure il contrario
peró la stupiditá a volte è più forte dell’amore…


(foto di Claudia Pajewski)

Ti cercherò sempre
sperando di non trovarti mai
mi hai detto all’ultimo congedo

Non ti cercherò mai
sperando sempre di trovarti
ti ho risposto

Al momento l’arguzia speculare
fu sublime
ma ogni giorno che passa
si rinsalda in me
un unico commento
e il commento dice
due imbecilli

(da Cento poesie d’amore a LadyHawke di Michele MariLadyHawke)

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