Category Archives: altarini

i segreti di una malapecora

la fine di un amore – paesaggio sonoro

foto di Claudia Pajewski

lo sferragliare feroce del tram
il cicaleccio fastidioso di uno scontrino
quel singhiozzo che smetti di trattenere
il fischio della caffettiera che ti sveglia
il clangore di un cancello che si chiude
il fruscio di una lampo che sale
il silenzio improvviso delle cicale
il ticchettio accelerato dell’inizio del temporale
l’urlo di una sirena nel cuore della notte
il “Favorisca i documenti”
l’eco del tuono che rimbalza nel tuo petto vuoto
il rombo sordo della valanga
la voce gracchiante del capotreno che annuncia la fine della corsa
il trapano del dentista
lo scivolare silenzioso di una lacrima
il grido del cristallo che s’infrange
la tua voce che s’incrina quando dici “Va tutto bene”
l’ululato del vento che ti graffia le orecchie
le unghie sulla lavagna
la scivolata fuoritempo del dj troppo fatto
un telefono che squilla disperato
la neve che scricchiola sotto i piedi
l’ultimo crepitare di un fuoco che muore

il rumore dei tuoi passi che si allontanano

10 anni

sono passati 10 anni.
10 anni da quando sono atterrata all’aereoporto di Girona, piena di paura e di speranza.

il biglietto mi era costato 20 euro, solo andata.
avevo detto a mia madre Forse torno, forse no.
in cuor mio sapevo solo che me ne volevo andare. che me ne dovevo andare.

e se ci penso mi viene la pelle d’oca e pure un po’ da piangere, non solo per il mio autoriferito romantico ricordo ma pensando a chi per cercare un futuro migliore paga molto piú di quanto abbia pagato io – e trova un presente di merda, di rifiuto e razzismo.

sono stata fortunata. si dice che la fortuna aiuti gli audaci ed è vero che un po’ di coraggio ce l’ho messo…
ma questo post è per ringraziare tutte le persone che ho incontrato per il cammino e che mi hanno aiutata, sostenuta, incoraggiata, amata.
non è stato sempre facile, ma se è stato possibile lo devo a voi – che anche se vi ho un po’ perso nel cammino ci siete sempre e abitate il mio cuore grato.

han pasado ya 10 años.
10 años desde el dia en que llegué al aeropuerto de Girona, llena de miedo y de esperanza.

un billete de avión por 20 euros, solo ida.
habia dicho a mi madre: Quizás vuelva, quizás no.
en mi corazón sabia solo que me queria ir, que me tenia que ir.

y si lo pienso tengo piel de gallina y me dá por llorar, no solamente por mi recuerdo romantico personal sino porqué pienso a quien migra en busca de un futuro y paga mucho mas de lo que yo pagué – y encuentra un presente de mierda, de rechazo y racismo.

he tenido suerte. fortuna audax iuvat y es verdad que un poco de valor lo he tenido…
pero este post es para agradecer todas las personas que he econtrado por el camino y que me han ayudado, suportado (y soportado), animado en los momentos tristes, querido.
no ha sido siempre facíl, pero si ha sido posible se lo debo a vosotras – que igual os he perdido un poco el rastro, porqué la vida da muchas vueltas – pero siempre teneis un sitio especial en mi corazon agradecido.

Lo scandalo del MACBa (di bestie, sovrani e altre oscenitá)

Il mondo della cultura spagnolo qualche giorno fa è stato scosso da una serie di eventi che hanno coinvolto il MACBa, museo di arte contemporanea e orgoglio della cittá di Barcelona, e che per una serie di motivazioni politiche e personali sento l’urgenza di raccontare (senza alcuna pretesa di obiettivitá: sono una proletaria dell’arte, una metalmeccanica dell’immaginario, una precaria alla deriva – e da questa posizione scrivo e descrivo).

Il MACBa non è solo è un’istituzione rispettata, dalla programmazione all’avanguardia e strettamente connessa con il brand Barcelona (la maggioranza delle persone che conosco vi è entrata durante il Sonar, forse senza capire nemmeno bene dove stava), ma è soprattutto il luogo in cui nell’ormai sideralmente lontano 2003, si tenne, con la direzione di Paul B. Preciado (ai tempi conosciuto come Beatriz), la mitica Maratona Postporno, uno dei primi eventi di riflessione pubblica e partecipata sulla pornografia a livello europeo.

Piú di 10 anni dopo la pornografia è un tema piú che esplorato, discusso, analizzato dalla cultura “alta”; ci sono pornostar che scrivono di filosofia e filosofi che analizzano la pornografia, le produzioni pornografiche vecchie e nuove vengono ormai considerate prodotti culturali e come tali valorizzate e i temi e stilemi che contraddistinguono il genere hanno ormai invaso il mediascape, influenzando il consumo di massa. L’osceno ha occupato il centro della scena, disvelando pratiche e teorie che, anche quando sono state sussunte dal mercato, hanno determinato processi, seppur contraddittori, di liberazione.

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Quest’anno che favola racconterai ai tuoi figli?

Nelle campagne italiane lavorano, alla coltivazione e raccolta di frutta e verdura, piú di 800mila lavoratori stagionali.
La quasi totalitá della manodopera bracciantile è composta da persone migranti, arrivate in Italia dopo viaggi lunghi e faticosi che ad alcuni sono costati la vita. Fuggono via da guerre, dittature, dalla fame.
L’Italia li accoglie offrendo condizioni di lavoro, abitative e di accesso ai servizi particolarmente infami: gli tocca spostarsi continuamente, poichè le nuove leggi sull’immigrazione hanno istituito, di fatto, il reato di disoccupazione.
A loro non tocca nemmeno una stalla col bue e l’asinello ma al massimo delle tendopoli che li lasciano in inverno al freddo e al gelo.

Proprio come quel bambino con i suoi genitori Maria e Giuseppe, la cui storia di poveri viandanti si racconta ai bambini quando gli spiegate cos’è il Natale.

Questo Natale, che favola gli racconterai ai tuoi figli?

l’arte di morire

è una poesia di Roque Dalton, poeta salvadoregno dalla storia dolorosamente esemplare.
rivoluzionario, combattente, dopo aver dedicato la sua breve vita alla causa della libertá nel suo paese fu accusato di insubordinazione e ucciso dai suoi stessi compagni di lotta perché sospettato di essere una spia (non lo era: investigazioni degli anni successivi provarono che le accuse furono pilotate dalla stessa CIA).


EL ARTE DE MORIR


EL OTRO: Lo que Ud. quiere saber es, en cierto modo, el arte de morir.
EL HOMBRE: Al parecer es el único arte que hemos de aprender hoy.

FRIEDRICH DÜRRENMATT
 
Tómese una ametralladora de cualquier tipo
luego de ocho o más años de creer en la justicia
Mátese durante las ceremonias conmemorativas
del primer grito
a los catorce jugadores borrachos que sin saber las reglas
han hecho del país un despreciable tablero de ajedrez
mátese al Embajador Americano
dejándole a posteriori un jazmín en uno de los agujeros de la frente
hiérase primero en las piernas al señor arzobispo
y hágasele blasfemar antes de rematarlo
dispérsense los poros de la piel de doce coroneles barrigudos
grítese un viva el pueblo límpido cuando los guardias tomen puntería
recuérdense los ojos de los niños
el nombre de la única que existe
respírese hondamente y sobre todo procúrese
que no se caiga el arma de las manos
cuando se venga el suelo velozmente hacia el rostro
 
L’ARTE DI MORIRE
L’ALTRO: Quello che Lei vuole sapere è, in qualche modo, l’arte di morire.
L’UOMO: A quanto pare è l’unica arte che dobbiamo imparare oggi.

FRIEDRICH DÜRRENMATT
 
Si prenda una mitragliatrice di qualsiasi tipo
dopo aver creduto per otto o più anni nella giustizia
Si uccidano durante le cerimonie commemorative
di maggior grido
i quattordici giocatori ubriachi che senza conoscere le regole
hanno fatto del paese una deplorevole scacchiera
si uccida l’Ambasciatore Americano
lasciandogli alla fine un gelsomino in uno dei buchi della fronte
si ferisca prima alle gambe il signor arcivescovo
e lo si faccia bestemmiare prima di finirlo
si disperdano i pori della pelle di dodici colonnelli panciuti
si gridi un viva il popolo chiaro quando le guardie prendano la mira
si ricordino gli occhi dei bambini
il nome dell’unica che esiste
si respiri profondamente e soprattutto si provveda
a non far cadere l’arma dalle mani
quando il suolo si avvicinerà velocemente verso il volto.

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Rimembranze a freddo su un seminario postporno (era la LadyFest Roma 2009…)

Non volava una mosca e ci fissavamo tutte quante inquiete. Cercai di farmi venire in mente qualcosa, ma riuscii solo a riflettere sul fatto che non ci avevo mai riflettuto: che immaginario sessuale avevo? Perché non ne avevo uno? O anche, possibile che non ne avessi uno?

>>>> frammento dall’esilarante testo di Laura Mango che ricorda il Laboratorio di pornografia femminista della LadyFest romana del 2009, letto in occasione del reading collettivo dello scorso novembre in Scighera. Qui il testo intero, qui le osservazioni sulla serata di Daniela Danna, qui le mie considerazioni.

(l’immagine è di Vita di uno zero, che è sparita dal web e mi manca. sorella, dove sei?)