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riflessioni politico-colitiche

al freddo e al gelo

immagine di Silvia Shah Potenza

QUESTO NATALE, CHE FAVOLA HAI RACCONTATO AI TUOI FIGLI?

Comunicato di presentazione del video “Al freddo e al gelo”

É complicato, nell’Italia dei nostri giorni, parlare di privilegio e provare a marcare una distinzione tra quelli che dovrebbero essere i diritti di tutti e tutte e quelli che sono, invece, dei vantaggi acquisiti grazie al gioco sporco del Capitalismo, che ci divide et impera concedendo e togliendo secondo le sue logiche inumane.

In un paese bastonato dalla crisi, con dei livelli di disoccupazione e precarietá impressionanti e dove l’ossessione competitiva ha soppiantato violentemente la cultura della solidarietá, occuparsi di temi come l’accoglienza e la dignitá del lavoro di chi ha meno diritti è un compito veramente ingrato.
Peró mi aveva colpito al cuore la storia dei braccianti di Saluzzo, abbandonati al loro destino dopo la stagione della raccolta, e avevo voglia di raccontarla. E si avvicinava Natale, il periodo dell’anno nel quale si dice che “siamo tutti piú buoni”…

Cosí, supportata da un manipolo di persone coraggiose e generose, ho deciso di prendermi la responsabilitá di mettere in scena una performance provocatoria, che gioca con l’iconografia di un personaggio molto caro alla cultura religiosa del nostro paese.
É una Madonna quella che ho scelto di rappresentare, la Madonna madre di tutti e tutte, che in questo caso non puó trattenere il suo sdegno davanti al trattamento riservato dalle istituzioni della fortezza Europa alle persone che arrivano in questa parte di mondo in cerca di un futuro migliore. Il suo sdegno davanti allo sfruttamento criminale delle loro vite da parte di un sistema economico che trae benefici dalla loro condizione oscenamente precaria, davanti al razzismo che imbarbarisce e rende nemici tra loro i nuovi poveri e i poverissimi nuovi arrivati.

Nel mercato del lavoro, con la scusa della crisi economica, anche i soggetti sociali in condizioni meno marginali dei braccianti stranieri vivono il ricatto della precarietá. Peró nel caso di chi lavora la Terra nel settore della produzione agricola intensiva la pressione è inimmaginabile.
All’interno del sistema della grande distribuzione e dei mercati esposti alla competizione internazionale, i prezzi dei prodotti ortofrutticoli sono imposti unilateralmente da multinazionali ed ipermercati, i piccoli produttori sono progressivamente impoveriti o esclusi e la manodopera ipersfruttata.

Spesso mangiamo veleno.
Non solo quando il cibo che consumiamo implica lo sfruttamento animale, non solo perché le coltivazioni sorgono spesso su terreni avvelenati dai rifiuti, ma perché il cuore di tutta la produzione è basato sulla ricattabilitá dei soggetti piú deboli coinvolti (che anche quando in teoria dovrebbero aver garantiti i diritti fondamentali, come la cittadinanza europea nel caso dei migranti romeni, sono spesso vittime di un sistema di dipendenza feudale – vedi il caso delle schiave sessuali nelle campagne del ragusano).

Consumare meno, consumare meglio – e farlo in maniera critica, chiedendoci sempre da dove viene ció che ci nutre, costruendo reti con le realtá che cercano di produrre in maniera etica. Forse se riuscissimo ad occuparci di piú di cosa mangiamo ci ammaleremmo meno…

E per tornare a esplicitare il troppo poco frequentato concetto di privilegio, abituarci a riconoscere che tutti i prodotti del lavoro umano, quando ci vengono offerti ad un prezzo che riteniamo estremamente conveniente, non sono regali del Capitalismo: qualche altra persona li ha giá pagati al posto nostro. Con il suo sudore e a volte col sangue.

Il sangue è l’elemento disturbante del video, simbolo di sofferenza indicibile messo in scena per infastidire, per provocare disagio, per molestare le coscienze di quel settore della societá che si definisce religioso solo quando si tratta di affermare con violenza la sua morale, ma sembra aver dimenticato del tutto il fondamento etico del cristianesimo, l’amore per il prossimo.
Il corpo nudo invece – e l’ostentazione della yoni, la vulva sacra che simbolizza il passaggio tra la vita e la morte – è per me la rivendicazione della potenza femminile e della materialitá del divino.

Oscena è la visione della vulva, che a molti risulta piú scandalosa di un corpo morto recuperato dal mare – cosí come fuori dalla scena delle narrazioni dominanti rimangono le storie di dolore e sfruttamento delle persone schiave del sistema ingiusto che ci domina e del quale, per superficialitá o pigrizia, rischiamo di farci complici.

alcuni link utili alla comprensione del fenomeno:

– il “caso” Saluzzo

I frutti puri impazziscono


– lo sfruttamento umanitario del lavoro nelle campagne del mezzogiorno

Oltre la clandestinità: lo sfruttamento umanitario del lavoro nelle campagne del mezzogiorno


– il ritorno del lavoro “a cottimo”

La normalità a cottimo. Ritornare a Nardò a un anno dallo sciopero


– le “schiave sessuali” nel ragusano
http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/09/15/news/violentate-nel-silenzio-dei-campi-a-ragusa-il-nuovo-orrore-delle-schiave-rumene-1.180119

– coordinamento nazionale pratiche di lotta e vertenziali in agricoltura

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– comunitá in lotta per l’autodeterminazione alimentare

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– gruppi d’acquisto solidale
http://www.retegas.org/

grazie a:
Shah – foto fissa e supporto logistico
Dirk – fotografia e montaggio
Pierinik – musica
Ivo – consulenza legale
Manu e Cecia – ispirazione e fomento
Alessandra e Irene – supporto informativo
Lucre e Leil – traduzioni e revisioni
Macho e Giovanal – effetti speciali
Killerina – editing testo
e grazie alla Virgen de Guadalupe
e a chiunque abbia diffuso il video e lo diffonderá.

non sono amiche, sono leccafiche (eterosessualitá obbligatoria ed educazione)

il titolo è la traduzione non proprio letterale di “no son amigas, se comen el coño” articolo rabbioso ma pieno di spunti interessanti che ho voluto tradurre; la lettura è raccomandata a genitori e affini ma piú in generale a chiunque abbia a che fare con delle piccole persone, quotidianamente o in maniera saltuaria

(grazie a the violet balloon – di cui vi consiglio anche il post sull’Operación Pandora [brilliant!] – i grassetti sono suoi, i corsivi miei)

Uscire dall’armadio [espressione spagnola equivalente al fare coming out, ovvero dichiararsi diversamente sessuati, ndt] non è facile.
Educare un bambino o una bambina perchè non debba mai uscire da nessun armadio è una sfida totale.

mini pony e unicorni: emblemi della dissidenza sessuale?

Quando avevo l’etá che ha adesso mio figlio, ero innamorata della mia migliore amica: Mariona Matagalls. Lo ricordo perfettamente: i suoi morbidi capelli biondi e lisci, i suoi graziosi codini, la visione delle sue mutandine blu mare in una occasione in cui, mentre giocavamo, le si alzó la gonna. Avevo quattro anni. Come prova di eterno amore le regalai un Mini Pony. Anni dopo sono venuta a sapere che i colorati Mini Pony si sono trasformati in un simbolo della diversitá sessuale mentre gli unicorni sono simbolo della bisessualitá. La vita ti fa questo tipo di scherzi. Mia madre racconta ogni Natale di quel giorno del periodo natalizio in cui mi avvicinai a lei con un’espressione grave, facendole la seguente cerimoniosa confessione “Mamma, sono lesbica”. E che lei, con la stessa serietá, mi rispose che mi amava lo stesso, indipendentemente da chi io amassi, che l’importante era che io fossi felice. Lo racconta ridendo molto di questa bambina drammatica e sofisticata, sottintendendo che era una strategia per attrarre l’attenzione. Un gioco. Non so da dove tirai fuori la parola “lesbica”, in ogni caso è buono poter disporre di parole per dire le cose. È per questo che non risparmio sul vocabolario con mio figlio; il sangue mestruale è sangue mestruale e il pene è il pene, poi è lui che si incarica di inventare “sangue magico”, “pipino” e altri fantasiosi epiteti. E questo non perchè voglio farne un pedante o per la mia formazione da filologa, ma perchè possedere la parola giusta per liberare una realtá vivida, per comunicarla, ha proprietá salvifiche, amplia il mondo che abitiamo ed è il tratto primordiale della lingua materna: una lingua in cui le parole coincidono con le cose. […]

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Quest’anno che favola racconterai ai tuoi figli?

Nelle campagne italiane lavorano, alla coltivazione e raccolta di frutta e verdura, piú di 800mila lavoratori stagionali.
La quasi totalitá della manodopera bracciantile è composta da persone migranti, arrivate in Italia dopo viaggi lunghi e faticosi che ad alcuni sono costati la vita. Fuggono via da guerre, dittature, dalla fame.
L’Italia li accoglie offrendo condizioni di lavoro, abitative e di accesso ai servizi particolarmente infami: gli tocca spostarsi continuamente, poichè le nuove leggi sull’immigrazione hanno istituito, di fatto, il reato di disoccupazione.
A loro non tocca nemmeno una stalla col bue e l’asinello ma al massimo delle tendopoli che li lasciano in inverno al freddo e al gelo.

Proprio come quel bambino con i suoi genitori Maria e Giuseppe, la cui storia di poveri viandanti si racconta ai bambini quando gli spiegate cos’è il Natale.

Questo Natale, che favola gli racconterai ai tuoi figli?

cultura dello stupro – guida per il gentiluomo

quando abbiamo pensato di tradurre questo articolo – impresa portata a termine grazie all’indispensabile e sollecita collaborazione di Giulia Ranzini (caprette.org) e Daniela Finizio (nomerosso.blogspot.com) ancora non l’aveva fatto nessuna, ma tra il dire e il fare c’è stata di mezzo piú di una settimana e cosí non siamo le prime a pubblicarlo (in compenso la traduzione è integrale)

non è il testo perfetto – e probabilmente non rappresenta quella che è per noi la mascolinitá ideale – ma contiene parecchi stimoli interessanti e spunti di dibattito…
per questa ragione ha senso cercare di farlo girare il piú possibile e possibilmente farlo diventare argomento di conversazione

[la cultura dello stupro avvelena anche te – te ne sei accorto?]

nb: i link sono a siti americani e descrivono quel contesto (che con le dovute distinzioni è molto simile al nostro)

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Se sei un uomo, allora sei parte della cultura dello stupro. Sì lo so…suona male.
Questo naturalmente non vuol dire che sei uno stupratore. Ma che porti avanti le attitudini e i comportamenti cui comunemente ci si riferisce come cultura dello stupro.

Magari pensi “E basta, Zaron! Mica mi conosci! Figurati se ti lascio dire che sono una specie di fan dello stupro! Quello non sono sicuramente io.”
Ecco, so perfettamente come ci si sente. Ed è stata più o meno esattamente la mia risposta quando qualcuno mi ha detto che ero parte della cultura dello stupro. Suona davvero male. Eppure, immagina solo che cosa voglia dire muoversi per il mondo pensando che in qualsiasi momento potresti essere oggetto di violenza. Mi pare un po’ peggio! Insomma la cultura dello stupro è uno schifo per tutti. Ti invito però a non fissarti sulla terminologia. Non concentrarti sulle parole che ti offendono e non ignorare il problema che sta alla loro base – le parole “cultura dello stupro” non sono il problema. La realtà che descrivono è il problema.

Gli uomini sono i principali agenti e sostenitori della cultura dello stupro.
Certo, lo stupro non è solo commesso dagli uomini. Le donne non sono le uniche vittime — uomini usano violenza su uomini, donne usano violenza su uomini — ma la ragione per cui lo stupro è un problema degli uomini, IL nostro problema, è che gli uomini commettono il 99% delle violenze denunciate.

Quindi com’è che TU partecipi alla cultura dello stupro? Beh, odio dovertelo dire, ma è semplicemente perché sei un uomo.

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essere uomo in un mondo di maschi

(ho ricevuto questo contributo da uno dei partecipanti al laboratorio sulle nuove mascolinitá della Ladyfest. pensavo di editarlo e tagliare delle parti per renderlo piú leggero e *fruibile* ma alla fine ho deciso di rispettare lunghezza, quantitá e densitá di questa autonarrazione coraggiosa e piena di spunti.
grazie a Dario, l’autore di questo testo, e grazie ancora a tutti i partecipanti)

discordant23.tumblr.com

A Milano lo scorso fine settimana si è svolto a Zam la LadyFest, una tregiorni di performance, spettacoli, laboratori, concerti dedicati al femminismo, al mondo queer e trans. Partecipando al laboratorio di Slavina sui micromaschilismi mi è stata posta una domanda alla quale non ho risposto, ma sulla quale ho riflettuto molto, anche nei giorni successivi. La domanda era: “Quando ti sei accordo di essere maschio e di poter godere di alcuni privilegi rispetto alle donne”?
Non ho risposto perché non lo ricordo. Non ricordo quando presi per la prima volta coscienza di essere maschio, né quando mi resi conto avere dei privilegi. Come del resto non ricordo gran parte dell’infanzia. Non saprei dire chi a casa, finito di mangiare, si alzava e sparecchiava. Non ho memoria dei pranzi, né delle cene. Sono sicurissimo che fosse mia madre, ma se mi viene chiesta un’immagine precisa, un dettaglio di quell’atto, non so rispondere.
Non ricordo, o forse semplicemente mi impedisco di rievocare molte cose, forse troppe.
Altre invece me le ho ben chiare. Le ho tirate fuori, piano piano. Lavorando su di me, sulle mie paure, sui miei comportamenti, sui miei tanti errori. Ma le ho tirare fuori.
Non mi ero mai fermato a rintracciare nella memoria il momento in cui ho scoperto i privilegi dell’essere un ‘maschietto’ in una società sessista. Di certo ho ben chiaro, episodio dopo episodio, quanto fu crudele l’impatto avuto nel capire di appartenere ad un genere, quello maschile, responsabile di tanta violenza che esplodeva in mille modi differenti verso chi a non apparteneva al suo mondo, verso i ‘non omologati’, verso chi rifiutava lo status di maschio.

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el #19O y la frustración del periodista del régimen

(nota sobre la mani del #19O aparecida originalmente en Al di lá del buco y traducida por Victor y Paula)

mapa #19O

Hay una manifestación. No es noticia.

Hay una multitud inmensa de gente  que se ríe, pasea, grita lemas. No es noticia.

Hay un pancarta magnífica, la síntesis es poética y cuenta la fuerza y la historia y la potencia de quien no se somete y lucha. No es noticia.

Hay un grupo de chicos y chicas que han trasnochado para componer carteles donde está escrita la belleza, tenacidad, sueños, reivindicaciones. No es noticia.

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che ogni pecora venga accoppiata…

(traduzione dell’articolo di Coral Herrera Gomez uscito sul periodico spagnolo El Diario Cada oveja con su pareja)

L’amore romantico che abbiamo ereditato dalla borghesia del XIX secolo si basa nei modelli dell’individualismo piú atroce: che ci schiaccino con l’idea che dobbiamo unirci di due in due non è casuale. Davanti al declivio delle utopie religiose o le utopie politiche, sorgono nuove utopie romantiche personalizzate, fatte su misura. Siccome non crediamo piú di poterci salvare tutti insieme, ci sforziamo per trovare qualcuno che ci ami, e allo stesso tempo, qualcuno con cui riprodurci, dividere i conti e risolvere problemi.

Sotto la filosofia del “si salvi chi puó”, il romanticismo patriarcale si perpetua nelle favole che ci raccontano, e si installa lí dove non arriva il raziocinio, nel piú profondo delle nostre emozioni. Attraverso i film e le canzoni assumiamo tutta l’ideologia egemone in forma di miti, stereotipi e ruoli patriarcali. E con questi valori costruiamo la nostra mascolinitá e la nostra femminilitá, e imitiamo i modelli di relazione che ci offrono idealizzati.

Il risultato di tanta magia romantica é che la gente finisce per credere che l’amore é la salvezza. Peró solo per me e per te, gli altri si facessero i cazzi loro.

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e tu, ce li hai gli occhiali viola?

(traduzione di un testo delle Feministas Acidas, sempre per la serie #femminismo4dummies)

LA SINDROME DEGLI OCCHIALI VIOLA

C’è un momento nella vita di ogni femminista nel quale si provano per la prima volta gli occhiali viola, occhiali che ci proporzionano un’esplosione di luce accecante ogni volta che osserviamo una scena maschilista. La sindrome comincia nei primi mesi ed evolve rapidamente ogni volta che leggiamo cose che ci aprono ancora di piú gli occhi.

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10, 100, 1000 Stonewall – perché ne abbiamo ancora bisogno

Una tragedia in tre atti

Prologo
Il padre della mia amica V, dopo averla vista in un servizio televisivo sul Pride ballare seminuda a fianco della scritta Enjoy Stonewall, rivoltati ora e non nella tomba le invia un messaggio di testo che dice pressappoco: Figlia mia, tu non hai bisogno di Stonewall per essere felice.

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