Quello che non mi uccide mi fará piú forte (ricordi sparsi del 2010)

Visto che il blog continuava con l’andazzo sedotto e abbandonato, volevo almeno ricicciare a fine anno con un classico post di bilancio, di quelli che servono a ricordarsi e a ricordarsi di dimenticare.
Il 2010, pensavo, é stato un anno di appuntamenti mancati, delusioni inattese e promesse non mantenute.
Con queste premesse, perché amareggiarmi l’agognata vacanza di natale romana – per listare i calci in culo? No grazie, ho preferito vivere, come si diceva un tempo.

Di ritorno a lu paese (vedi sotto) peró, ho sentito la necessitá prepotente di riraccontarmi i successi e gli insuccessi dell’anno appena passato – perché nella fretta del vivere alcune cose possono sfuggire e siamo anche portate a dare un peso maggiore alle cose brutte. E perché anche se lo maltratto amo questo blog e so che c’é qualcunx pure lontanissimx che mi legge e che continua a crescere e a decrescere 😉 con me.

La scrittura é salvezza, é terapia: attraverso la narrazione rielaboro i traumi peggiori e li metabolizzo con l’ironia. Guardandoli da fuori sghignazzo di me stessa oppure – quando é utile e necessario – mi perdono.
Ed é stato cosí che, scrivendo scrivendo, ho capito che quest’anno non é stato cosí malvagio. Che ormai – quasi mio malgrado – sono diventata piú forte e che le batoste servono a crescere.
E amen.

Ma cosa ricordare allora di quest’anno cosí faticoso?

Il neurone arranca e il primo evento da ricordare é la Ladyfest de l’Aquila.

Partiamo con un manipolo di *signore* entusiaste e troviamo ad accoglierci un freddo spaventoso e il calore di un sacco di gente fantastica. Io ero armata del peggior giovanemarmottismo immaginabile, tutta protesa verso un’umanitá che immaginavo disperata… invece alle Casematte di Collemaggio, ospedale psichiatrico occupato dopo il sisma e autogestito dalla Rete 3e32, trovo di tutto tranne che disperazione.
Andavo con due missioni, una decisamente kamikaze, l’altra comunque complicata.
La prima era il reading di apertura, condiviso con un incantevole trio di musica classica. Mi era stato chiesto di trovare qualche testo che parlasse di violenza di genere e io m’accollo di lanciare una bomba tratta da Teoria King Kong di Virginie Despentes. Giá faceva un freddo osceno, ma quando comincio a inveire contro il genere maschile e le sue repressioni un’onda di gelo schiaccia e silenzia una parte del pubblico – mentre alla fine del brano si solleva spontaneo un boato da curva delle femmine.
Era quello che volevamo? Boh, non lo so.
*Le femmine* che urlano e si fanno forti insieme ci piacciono, peró *i maschi* mi guardano tutti in cagnesco, compresi i compagni del 3 e 32. Mi muovo per la sala guardadomi le spalle e pensando che perché mi offro sempre volontaria per i lanci senza paracadute – ma basta un ragionevole tempo di decompressione e mi si avvicina uno dei pischelli piú giovani della Rete, mi offre un sorso di birra e mi dice (con un accento abruzzese graziosissimo che mi sembra un Antó della Ballestra) grazie, é stato un po’ un trauma e poi i maschi mica so’ tutti cosí ma lui in fondo l’aveva capito che era un po’ una cura d’urto.
Io giá respiro meglio e dopo poco vado a dormire, ammucchiata con le solite befane e alcune nuove (le fantastiche To/Let, che fanno un murales bellissimo insieme a MP5 al quale anch’io aggiungo pennellate – tutte tornammo a casa un po’ sporche di quel verde).

Ladymurales
Ladymurales

(tutte le foto della Ladyfest Aquila stanno qui e le ha fatte la nostra Pazzeski, mentre i video sono qui, a cura della Casematte Media Crew)

Per il giorno dopo abbiamo convocato un laboratorio di genere, che abbiamo (ho, diciamocelo) con magniloquenza chiamato Gender Hacking Lab. L’idea era quella di creare uno spazio di discussione – aiutandosi con esperienze sensoriali – per smascherare e rendere evidenti alcuni meccanismi impliciti della nostra cultura dove gli stereotipi di genere sono assunti come veritá *biologiche*.
Il tutto era anche un po’ una scusa per entrare in contatto con le donne del Centro Antiviolenza locale e sentire quello che avevano da dirci. Il dibattito risulta un po’ sgangherato, con una richiesta pressante di protagonismo da parte dei ragazzi (sai che novitá, dirá qualcuna, se non fosse che invece di solito quando si parla di questioni di genere la metá del cielo che ha il cazzo trova sempre qualcosa di piú urgente di cui occuparsi oppure si prende male, perché si sente di invadere un settore che gli é precluso – perché di pertinenza femminile). Ma i pischelli delle Casematte non sono *maschi*, ci tengono a dimostrarlo e pare pure vero, visto che sono in maggioranza a gestire il bar, la cucina e le pulizie – rotture di balle che sui generis sono riservate in maggioranza alle ragazze.
Io ne esco contenta, amo fare laboratori perché li sento spazi di libertá e di intimitá condivisa, mi emozionano sempre perché conosco frammenti significativi della vita di persone sconosciute che per un momento diventano vicinissime – e poi penso che giá é qualcosa creare i momenti e gli spazi per parlare di certe cose, anche se da lí non esce il manifesto programmatico della rivoluzione sessuale, anche se poi le cose non cambiano dopo una settimana e manco un mese.
(Pagherete caro, pagherete tutto, ciavete presente? che nun pagano un cazzo ma almeno non ci tolgano la soddisfazione di dirlo – e l’illusione di crederlo…)
Io finalmente mi rilasso e nella dancehall della grande Marú mi faccio pure rimorchiare dalla donna piú bella del mondo, con la quale passeró le ore seguenti in uno stato di grazia ansiosa.
(… per raccontare il resto di questa storia ci vorrebbe un post apposito e ancora piú pelo sullo stomaco di quello che sto sfoggiando oggi – vi basti sapere che finí, e pure con poca gloria)

Il giorno piú piagnone del 2010 vede coincidere la solita, molesta sindrome premestruale con l’apparizione di una faccia da cazzo a me notissima sul mio blog preferito. Quando il tuo maltrattatore e stalker ante litteram appare omaggiato come eroe in un blog femminista come minimo ti viene da strappare tutte le tessere che non hai e prendere a capocciate il primo spigolo che incontri – io invece devo andare a una riunione di lavoro e cosí cerco di smuovermi e di non pensarci troppo, anche perché del maltratto fui complice (e credo che tutte le donne lo siano, finché non hanno il coraggio di ammazzare lo stupido sogno d’amore e delirio d’onnipotenza che le spinge a rincorrere umiliazioni e pizze in bocca) e lo stalking non scandalizzó abbastanza i miei compagni e le mie compagne di allora.
Ma quando l’autobus passa per piazza Catalunya ricordo la me stessa che arriva a Barcellona sola e sconfitta, rincorsa dal senso di colpa enorme di non averci capito un cazzo per anni e mi pesa, come mi pesa il fatto di non aver detto niente per la paura di essere additata come una ex rancorosa o una pazza isterica. Piango, piango fiumi e oceani, singhiozzo a ruota libera e alla riunione faccio una figura di merda come ai bei (brutti) tempi dell’amore infelice.
Per ripigliarmi consulto la mia ex maltrattata di riferimento, che mi dice che in Italia tutti gli eroi sono di merda ed é per questo che siamo sradicate e rinnegate e che se lo godano loro, l’eroe. Smetto de piagne e sorrido amara quando, durante le mie trasferte in patria, mi arrivano pettegolezzi imbarazzanti sulle ingloriose imprese dell’eroe de sto cazzo. M’incazzo un po’ quando un’amichetta mi confessa che lui ancora millanta e svariona su di me (sostiene che io gli mando i *miei* video porno e lo fa per scandalizzare, con un bigottismo tipico del maschilista putrido che nasconde sotto il mantello) ma alla fine penso che no, non me l’accollo di sputtanarlo. Tenetevelo, in fondo ve lo meritate.

Io invece mi merito un’altra vita, penso. So anche che visto che la mia precarietá é diventata non-lavoro non riusciamo piú a pagare l’affitto della bella casa con (!!!!) piscina e riscaldamento autonomo dove viviamo da un annetto (e che avevo causticamente battezzato *il sogno borghese di un’altra*). Quindi bisogna cercare un’altro posto dove vivere e ci siamo decisi a dare il gran passo: addio urbe, ce ne andiamo in campagna.
Siamo anche abbastanza fortunati – troviamo una casetta con giardino e orto in un paesino (Entitá Municipale Decentralizzata, prego) a una mezzoretta di treno da Barcellona, nella zona prossima al parco di Collserola. Abbiamo vinto bene, abbiamo capra e cavoli, pensiamo.

capito come?
il mio giardino

In realtá quando arriviamo a vedere la casa rimaniamo flashati dal giardino e non facciamo troppa attenzione ad alcuni problemucci dell’interno, tipo una parete quasi marcia di umiditá, la mancanza di riscaldamento decente (no camino, no stufa, no termosifoni… no, insomma), il forno vecchio e zozzo e vari altri eccetera. Sono cose che vediamo ma che vogliamo sottovalutare, completamente rincoglioniti dal sogno bucolico.

Il trasloco é un incubo. I primi mesi in casa, da dimenticare. Fa caldo e io non ho voglia di fare niente. La figlia non va a scuola ed essere madre a tempo pieno mi risucchia tutte le energie, pure quelle che non ho. Non ho lavoro ma nemmeno potrei lavorare, visto che devo badare alla figlia. Mi sento sola e inutile. Mi deprimo e manco me ne accorgo. Non voglio vedere nessuno. Vado sempre piú giú. É tutto inutile.

Quando la bimba comincia ad andare a scuola le cose migliorano leggermente, sgravando sul ridicolo. Se infatti eravamo arrivati in campagna inseguendo un miraggio hippy, ci rendiamo conto di essere arrivati nel posto sbagliato. Dei 4/5 paesini dei dintorni infatti, quello in cui viviamo noi é il piú fighetto e la composizione sociale quasi imbarazzante – lo noto alla prima riunione della scuola di Antonia, dove mi ritrovo circondata da fintebionde in carriera (pure quelle con 4 figli) con dei tacchi che io non potrei mettermeli nemmeno a Capodanno. Peró ormai siamo qua e in qualche modo ci adattiamo a tutto.
Perché la mia depressione é finita e perché anche se é inverno se c’é il sole mangiamo in giardino e quando ci risvegliamo guardiamo fuori ed é tutto verde. E vi giuro che non é poco.

La fine dell’anno mi restituisce anche la Patri. Ancora ingiustamente condannata, ma almeno in libertá condizionale.

una ragazza con le rughe
orgogliose rughe

E adesso smetto, tenendo per me le peggio amarate (che ce ne sono state…) e le altre robe di cui vi parleró presto, piú diffusamente.
Perché il presente preme e ha voglia di essere raccontato.

3 thoughts on “Quello che non mi uccide mi fará piú forte (ricordi sparsi del 2010)”

  1. I primi due ricordi (in parte e modi diversi) mi “appartengono” e mi hanno sconquiccherato….. spero che magari il caso me faccia vedere pure il terzo ricordo … che altro? … che sei troppa bella! 🙂 Daje co sto 2011!

  2. mo’ vincente é un parolone – ma bisogna almeno puntare al pareggio zia!

    [ understatement stile Guardiola – tu saps 😉 ]

  3. E annamo ziaaaaaa!!! Ho gradito la previous foto…ma era questo che aspettavo!!!
    Ci vediamo giovedi prossimo, che ho bisogno di essere contagiata dal tuo mood di DONNA VINCENTE in questo mio periodo da Mammabbestia!
    T’amo.
    MaNU

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