quanto tempo è giá passato dalla morte di Salvatore Ricciardi, il nostro amico e compagno Salvo?
durante il lockdown il tempo ha assunto una consistenza viscosa, rimaneva appiccicato, non fluiva – e adesso che la vita sembra in qualche modo riprendere il suo corso continuo a non sapere bene che giorno è ma soprattutto a calcolare le distanze.
so che riesco a pensare a Salvatore senza piangere a dirotto, quindi ne posso scrivere abbastanza serenamente e anche con una qualche pretesa di luciditá.
ho scoperto dopo la sua morte che i suoi compagni (brigatisti e no) lo chiamavano “il vecchio” – perché aveva la stessa etá di Curcio, quindi mediamente 10 anni di piú degli altri e le altre.
ma Salvo non era per niente vecchio neanche adesso, anzi credo di non aver mai conosciuto una persona cosí poco vecchia nel senso negativo che si puó attribuire al termine. a 80 anni suonati Salvatore era rimasto un ragazzo per freschezza, curiositá intellettuale e sventatezza.
Salvo fino all’ultimo è rimasto davanti, potremmo dire.
credo che un po’ gli farebbe piacere. gongolerebbe sotto i baffi con quel sorriso sornione ma senza indugiare nel compiacimento – a un certo punto direbbe una cosa come “ma che ce voleva, l’avrebbe fatto chiunque” perché ogni persona misura le possibilitá col metro suo e forse pure per questo Salvo aveva sempre creduto e continuava a credere nei processi rivoluzionari.
a me fa piacere provare a raccontare cosa è stato lui per la mia vita di attivista – una pietra miliare, uno di quelli che Brecht chiama gli imprescindibili.
quando ho saputo della sua esistenza avevo appena cominciato a frequentare Odio il carcere, un collettivo abolizionista romano che successivamente si sarebbe ampliato e trasformato in Liberiamoci dal carcere. la prima azione che facemmo (o forse solo la prima in cui partecipai io, abbiate pazienza se la mia memoria egoriferita fa cilecca ma parliamo degli ultimi anni del secolo scorso e in mezzo c’è stato di tutto) fu proprio per chiedere la liberazione di Salvatore, che aveva giá passato piú di vent’anni in galera ed aveva una cardiopatia grave.
la prima performance della mia vita fu per lui. a pensarlo il cuore un po’ scricchiola.
eravamo una decina persone vestite con delle camicie e magliette bianche che avevamo imbottito di bustine di sangue finto; fuori dal Tribunale a un certo punto inscenammo una apocalisse pulp sputando sangue e aprendoci immaginari squarci in petto e finendo schiattati in terra – perché di carcere si muore, anche se nessuno lo dice e non si vede, stavamo a significare. e Salvatore se rimaneva dentro sarebbe morto, quindi doveva uscire.
lo facemmo un paio di volte questo delirio ematico in strada, poi una compagna avvocata ci disse che dovevamo smettere, che ci avrebbero dato “procurato allarme” come se fosse un capo di imputazione infamissimo e pericoloso e poi dai, ci stanno pure i bambini a quell’ore, magari si spaventano, siete un po’ terroristi, puó diventare controproducente…
e allora facemmo pure altre cose e alla fine Salvatore uscí e si uní al collettivo, che anche grazie al suo contributo diventó piú simile a un movimento e riuscí a mobilitare un sacco di realtá diverse e a fare cose che hanno lasciato il segno, nell’immaginario militante di quegli anni – credo non solo romano: le street parade fino a Rebibbia, il Capodanno, la Scarceranda.
in mezzo a queste tante cose, rischio di dimenticare la televisione. una specie di televisione. la nostra televisione.
si chiamava Candida e fu prima di tutto una trasmissione a puntate che andava su una emittente locale laziale, duró 9 settimane appena prima del 2000 – poi fu un sacco di altre cose pure, ma cominció cosí, come un contenitore che volevamo generalista (credevamo nell’intelligenza collettiva, nella nostra e in quella del pubblico – e ci credevamo troppo, poveri noi) ed era ripieno di formati e numeri zero deliranti che parlavano di poesia, tecnologia, droga, musica e tifoserie varie.
e parlavamo anche di carcere, il formato sul carcere lo curavo io proprio insieme a Salvatore, tra gli altri e le altre.
si chiamava Control Alt, aveva una sigla bellissima e nella prima puntata ci sta questa specie di sketch dove mi avvicino troppo al carcere e una voce minacciosa mi chiede i documenti. ecco, la voce minacciosa era di Salvatore – che provó un po’ a negarsi rivendicando un minimo di decenza (Ma che me fate fa la guardia?) ma che alla fine si arrese e si prestó ridendo.
poi finí l’avventura di Candida e finí tutto per me a Roma. il mio ultimo ricordo da resident è il Pink paint party, movimento rosa della frivolezza tattica col quale sperimentammo piú volte la strada come luogo da occupare, significare e rendere vivo attraverso azioni e rappresentazioni – e Salvo sempre lí, eterno fiancheggiatore, curioso delle nuove forme, a volte critico ma mai trombone, mai distante, lui con quella storia di rivolta cruenta e senza mediazioni era sempre capace di avvicinarsi con rispetto e non far pesare mai la differenza a noi che sparavamo solo glitter e al massimo cazzate…
e poi, il momento piú bello nella mia memoria.
quando tornai a Roma da attivista postporno, cominciando a spargere fluidi e verbo – che la sessualitá era un fatto politico e che ci mancavano riflessioni e pratiche su questo punto, come movimento.
trovai qualche entusiasmo bello, soprattutto femminile, ma da parte dei compagni soprattutto una strana condiscendenza infastidita, tipo Sí vabbè, ma vai a giocare un po’ piú in lá mentre noi continuiamo a fare le cose serie.
invece, Salvo.
ce l’ho impresso nella memoria, con il suo cappelletto e il suo sorriso. siamo in corteo, dalle parti di via Cavour. io che non lo vedevo da un po’ gli attacco una pippa spiego cos’è sta roba che mi appassiona, gli do qualche riferimento teorico, gli racconto delle robe.
e lui contento, mi ascolta con attenzione e poi mi dice Fai bene ad occuparti di questo ambito. Ma lo sai quale fu la prima cosa che fecero i nazisti quando presero il potere? Perseguitarono le libertá sessuali e chi se ne occupava, guardati la storia di Magnus Hirschfeld e l’Istituto di Scienze Sessuali di Berlino.
Salvatore sembrava che sapesse tutto, non aveva mai smesso di studiare e tutto quello che sapeva era capace di metterlo a disposizione senza farlo pesare.
a me questa informazione aprí un mondo. la legittimazione che m’aveva riconosciuto lui fu una sorta di benedizione, che mi è risuonata spesso dentro quando mi sono trovata davanti a boicottaggi o sorrisetti di circostanza.
poi il tempo è passato troppo rapido e io a Salvo non l’ho piú visto e non l’ho salutato e adesso sí che un po’ piango.
peró me lo porto dentro, ma proprio dentro a livello di cellule perché no, non è solo memoria e ricordo, certe persone sono pezzi di vita e pure se l’identitá è un concetto che vorrei superato nella mia ci sta Salvatore il mio amico delle Brigate Rosse
che a una serata stiamo seduti vicini e mi attacca bottone un tipo muscoloso che quando se ne va Salvo commenta ghignando “Adesso va di moda questa cosa dei muscoli tra i compagni… all’epoca mia di muscolo ne avevamo solo uno” e muove l’indice come a premere il grilletto di una pistola immaginaria
e io quando ci penso ancora rido come una cretina.
Grazie di tutto Salvo
hasta la victoria, siempre con un sorriso.