just be a King! laboratorio a Roma

ho partecipato al mio primo laboratorio di drag king durante l’ultima Ladyfest.
era un’esperienza che volevo fare da tempo in una forma strutturata e organica, visto che giá a livello personale di autoanalisi e osservazione ragionavo sui codici performativi della femminilitá e mascolinitá.


(questo é Clit Eastwood, il mio primo, embrionale esperimento king risalente al 2009 – autoritratto sull’autobus)


a condurre il laboratorio a cui ho preso parte erano le Eyes Wild Drag, gruppo di performance storico della scena romana, e io ve le raccomando per la semplicitá, l’efficacia e la dolcezza con le quali sono capaci di trasmettere i segreti di una trasformazione che puó darvi delle chiavi di lettura interessanti sul modo che abbiamo, come donne, di stare nel mondo.

maggiori informazioni sul laboratorio le trovate qui – c’é tempo per iscriversi fino al 3 novembre.


(questo é Clark Cable, un king piú maturo [ma ancora poco credibile] che mi ha accompagnato nella performance Cuerpos Lesbianos nel giugno scorso – foto di Kenny)

ció che segue invece é un testo che ho scritto per spiegare al grande pubblico i presupposti storici e teorici dell’esperienza laboratoriale drag king. ci aggiungo tutti i link che m’hanno accompagnato nella stesura, per completezza di informazione – e perché sono abbastanza gustosi (juicy, direbbe la mia amata Annie)

Per tutte le ragazze cresciute con Lady Oscar (manga di Ryoko Ikeda e cartone animato famosissimo negli anni ’80) il travestitismo non é uno scandalo ma una condizione speciale, che l’eroina della nostra infanzia ha fissato in un luogo nobile della memoria. Ritrovarsi a viverlo sulla propria pelle é un fatto naturale e divertente, ci riporta indietro facendoci fare uno scatto in avanti: l’emancipazione passa infatti anche per l’analisi critica e il rovesciamento di alcuni codici della femminilitá.
In realtá il travestitismo delle donne ha radici molto antiche: nella tradizione cattolica, ad esempio, sono molte le sante orientali che scelgono la via del rifiuto della femminilitá per aggirare la misoginia delle istituzioni ecclesiastiche e guadagnare indipendenza – da santa Tecla, discepola dell’apostolo Paolo, a santa Eufrosina (considerata la protettrice delle lesbiche) fino ad arrivare al paradosso della leggendaria papessa Giovanna.
Come donne possiamo essere piú o meno consapevoli delle norme su cui si costruisce la nostra identitá di genere: non parliamo solo di trucco e parrucco, ma anche di un modo di sedersi, di gesticolare, di muoversi nello spazio. Lo scopo di un laboratorio Drag King é quello di decostruire questi codici e queste norme, dando spazio (e legittimitá di esistenza) al maschio che abbiamo dentro.
Pionera in queste sperimentazioni biopolitiche fu l’artista americana Diane Torr, che nel 1989 condusse i primi workshop di appropriazione della mascolinitá nel mitico Sprinkles’ Salon di New York.
Per diventare Drag King si utlizzano tecniche teatrali e di analisi psicosomatica dei gesti: l’obiettivo è quello di assumere un portamento, prima che una fisionomia, da veri uomini. Si comincia dagli atteggiamenti piú ridondanti, si sperimentano gli stereotipi: sedersi a gambe larghe, alzare la voce, non dare mai la precedenza ad un altro, sistemarsi il pacco con nonchalance: anche se possono sembrare caricaturali, sono i segni e i segnali piú evidenti della mascolinitá.
Ma piú che la barba, l’occultamento del seno o la protesi fallica che riempie le mutande, il successo della trasformazione King sta nella capacitá di affermare la propria presenza secondo codici e stilemi maschili, sperimentando una nuova maniera di occupare lo spazio. Riprogrammare il proprio genere, come sostiene la filosofa Beatriz Preciado, puó essere una vera e propria terapia politica, un’esperienza di liberazione che ci renda consapevoli della natura arbitraria e artificiale di certe convenzioni e obbligazioni che pensiamo connaturate all’essere uomo o donna.


(e questo é Frenki insieme ai suoi amici king durante il laboratorio della Ladyfest, durante un’improvvisazione. che portamento, eh? – foto di Valentina Blu)

Se a questo punto morite dalla curiositá di scoprire qual’é il femminile che cercando di abbordare senza snaturare le mie convinzioni ma solo rendendole piú digeribili al grande pubblico di cui sopra, cliccate qui – c’é pure un articolo interessante della mia amica Dipi.

[giá, é tutto un magna-magna. quasi sempre pasta in bianco, ultimamente, ma c’é chi non ha nemmeno quella]