Il francese

Aveva un’aria familiare – con tutto ció che di peccaminoso puó contenere codesta espressione.
L’avevo giá visto altrove e non mi era stato simpatico.
Troppo francese per i miei gusti.

Io avevo appena finito di lavorare e avevo un conto ancora aperto con la tristezza.

La morte bisogna ucciderla, per rimanere vivi.
Risignificarla alzando a palla il desiderio che é vita che scorre, affogarla nello scambio dei fluidi, ammazzarla a colpi di orgasmi selvaggi.
Il francese sembrava arrivato apposta. Un pacchetto regalo con su scritto Per Slavina.
Sorrideva un po’ storto e mi guardava dritto negli occhi. Non diceva cose da maschio, non parlava di lavoro, non si vergognava a mostrarsi fragile davanti a un’imperfetta sconosciuta. Mi emozionavo a sentirlo parlare e piú mi piaceva piú m’avvicinavo, arrivando fin sotto a quelle rughe dolci che gli increspavano gli occhi di tanto in tanto. Lui si scherniva ma non si spostava.

Se era una tattica per rimorchiarmi, era quella giusta.
M’informó con tatto che la sua fidanzata era fuori cittá. Io lo avvertii che ero sposata, ma libera e responsabile delle mie cattive azioni.

I suoi occhi non la smettevano di penetrarmi. Le mie mani cercavano timidamente un contatto e ogni volta che lo sfioravo si accendeva una scintilla.
Brividi. Il quarto cocktail segnó la fine dei convenevoli.
Guarda che io sono Marlon Brando e se ti chiedo di passarmi il burro non sará perché voglio far colazione. Hai del burro a casa? Ci sta bene il burro, con un culo francese.

Sul taxi che ci portava alla Barceloneta cominciammo a mangiarci le bocche. Aveva la barba dura e le mani grosse e io paura che mi scoppiasse il cuore.

Cosí, per rallentare, m’invento un capriccio.
Non la voglio vedere, la casa della tua fidanzata. Bendami con quella pashmina del cazzo che ti fa tanto francese. Lasciami libere le orecchie peró, e parlami.
Parlami nella tua lingua o in un’altra, capiró. O forse anche no – a questo punto non é importante capire.
Voglio solo sentire.

Sono le cinque del mattino e mi chiedi di fare piano per le infinite scale. Mi sorreggi per la vita. Sei proprio un francese elegante.

La tua casa odora di parquet nuovo. Mi abbandoni contro un muro e io mi tolgo le scarpe.
Mi fai bere dell’acqua fresca. Anche la tua bocca adesso é fresca.
Ci tocchiamo attraverso i vestiti. I miei capezzoli stanno per scoppiare, la fica esonda. Il tuo cazzo preme contro i pantaloni con una certa aggressiva grazia.

Sento la tua lingua in fondo alla gola, mani mi sollevano e mi scaricano su quello che sembra un letto.
Mi togli i pantaloni e mordi via le mutande. I tuoi denti affondano nella mia carne viva e mi sfugge un urletto di cagna. Mi riempi di lingua e di dita e quando sono tutta aperta ti allontani.
Riprendo fiato. Ossigeno il cervello.
Sento che mi guardi mentre ti spogli. Mi sollevo e ti aspetto seduta.
Mi chiedi di aprire la bocca. Di aprire la bocca molto piú di cosí.
Forse sei un dentista e io non lo sapró mai.
Mi sento un po’ ridicola, seduta sul letto di un’altra, mezza nuda e con la bocca spalancata.
E il burro?
Mentre me lo domando il tuo cazzo m’invade. Non che non me lo aspettassi, ed effettivamente sa un po’ di burro, con retrogusto di pastis.
Mi stendo sui gomiti e sento le tue palle lisce appoggiarsi sul mento.
Il tuo cazzo ha l’erre moscia e di moscio solo quella e mi massaggia con decisione le gengive.
(Comincia a suonare questa nella mia testa, col fruscio analogico incluso)

Adesso vorrei guardarti e che tu mi guardassi e il desiderio dev’essere reciproco, perché mi sfili quella cazzo di pashmina e finalmente ti vedo. Non sorridi, hai l’aria seria e concentrata che hanno tutti i maschi quando scopano e che mi fa sempre venire un po’ da ridere.
Poi guardo me stessa da fuori, con la bocca riempita di cazzo e gli occhi sbarrati e non riesco proprio a trattenermi. Mi scappa l’abituale, inopportuna risata.
Ma tu non sei un maschio vero, per fortuna.
Anche tu ridi, mi sfili via il cazzo dalla bocca e vieni a baciarmi, succhiando via con dolcezza litrate di saliva e altri umori.
Mi piaci, francese.
Mi piacciono le tue rughe da vicino, mi piace la tua barba aspra, mi piacciono l’ironia e la dolcezza con cui mi tratti e ti muovi.
Forse mi piaci pure troppo, francese, sicché eviterei di tirarla tanto per le lunghe, che ne va del mio prezioso cinismo (sento che si stanno esaurendo le riserve auree).
Smettila di baciarmi e di inondarmi di velenoso miele, figlio della Repubblica. Impalami, riempimi, invadimi, colonizzami. Smettila di essere cosí sensibile e intelligente, una scopata non é un pranzo di gala. Spalancami.

Lo fai.
Ti sento tutto dentro. La mia fica ti abbraccia, ti stringe. Cazzo, la mia fica giá ti vuole bene.
Mi aggrappo al tuo culo piccolo e cerco la mia strada.
Te l’ho detto, che sono Marlon Brando.
Te lo tengo aperto e ci sbatto in mezzo tutta la saliva che mi rimane.
Ci giro intorno mentre tu fai su e giú. Adesso vediamo se sei veramente intelligente.
Lo sei. Rallenti.
Ti infilo dentro prima un indice esploratore, che si fa strada timidamente. Il tuo culo é docile.
Quando te l’ho infilato tutto dentro ti fermi e mi guardi.
Sono i 5 secondi piú lunghi del secolo.
Ricarico di saliva l’anulare e il medio e quando li infilo dentro ti sfuggono un gemito e una parola che non comprendo, ma che non é Putain.

Adesso sono dentro il tuo culo e il tuo culo é tutto nella mia mano. Sono io che marco il ritmo, sono io che ti muovo.
Sei la mia bambolina e ti lasci con dolcezza comandare.
Mi basta la consapevolezza di questo potere per venire.
Ti prendo su quest’onda che mi scuote e tu ti appoggi su di me per gustare pelle a pelle questi brividi.
Poi ti lasci andare e anche tu mi regali un orgasmo lungo e un urlo soffocato che viene dal centro della Terra, che ora coincide col tuo centro, lí dove sono le mie dita.

Finisce con un abbraccio densissimo da cui mi libero a fatica.
Finisce con un bacio lieve che ti lascio sulle labbra socchiuse, mentre dormi.
Finisce che é giá mattina e passo al forno della Barceloneta per prendere il pane e due cornetti da portare a casa (…)

Finisce con due lacrime e un singhiozzo, perché in fondo – e pure in superficie – sono una puta romantica e secondo me ogni tanto piangeva anche Marlon Brando.

 

NB Con un francese ho ballato tutta la notte di sabato. Ci siamo parlati, annusati, interessati, divertiti, desiderati. Ci siamo lasciati che era giá giorno e io non gli ho nemmeno chiesto il numero di telefono, perché piú che puta e romantica sono una rincoglionita.
Creditelo.
[e se non ci credi, chiedi a lui che c’era]

 

—> questo post inaugura la categoria Pornosoccorso (dammi un’emozione porno), in onore alle impagabili Tette Biscottate. Guardatevele, gustatevele (il video é nuovonuovo)

12 thoughts on “Il francese”

  1. @nero: secondo me tu sei il capo di internet perché a me i commenti non li approva in automatico anche se sono loggata…oppure autistici continua a comunicarmi scomode verità come con sonoscema? vado a piangerci su ;);

  2. Nero, una volta avresti detto *sì, sono il capo di Internet, embè?* con una gran sghignazzata.
    (infatti a quel tempo non ti chiamavi mica Nero…)

    … ma ti pare che ti censuro?
    stai a impazzì?

    :*

  3. No, è che se sei loggato come utente di noblogs si prsume che tu non sia uno spammer. Perché non avresti approvato il mio commento? proprio tu? 🙁

  4. a Nero, ma che davvero sei il capo di Internet, che i tuoi commenti si approvano da soli????????

  5. miiinchia. e io che ero venuta qui a scriverti che stanotte ho fatto un sogno assurdo cn te protagonista…saro’ una veggente? (performance zozza durante una mia mostra, te vestita da frida con bustino di gesso su letto a baldacchino e io vestita da diego rivera con tanto di capelli gomminati.^^) (ps: nn ho più trovato la cazz di maschera :S )

  6. Ah Marlon!
    Mi sa che allora anche io mi ispiro allo stesso film 🙂
    Sai che non c’avevo mai pensato a ‘sta cosa della concentrazione? Voglio ricordarmi un sorriso!

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