Femminista way of life (di Itziar Ziga)

il testo che segue é stato pubblicato dal magazine Pikara – una delle migliori esperienze di giornalismo femminista in lingua spagnola – in occasione del #25N, giornata mondiale contro la violenza sulle donne.

in questi giorni cosí duri nei quali guardando l’Italia mi viene da chiudere gli occhi (e se credessi in qualche divinitá vi dico sinceramente che direi anche una preghiera) con tutto il mio candido puto ottimismo non posso fare altro che pensare che é il momento di uscire dal vicolo cieco dell’orrore sociale e di prendendersi la responsabilitá di cambiare radicalmente le cose a partire dalla materialitá delle nostre esistenze.
anche per questo mi é sembrato importante tradurre l’intervento sanguigno ma sensatissimo di Itziar Ziga: perché é una luce di speranza, perché identifica con chiarezza alcune delle magagne culturali che ci tengono schiave di modelli assurdi e assassini e che ci fanno spesso complici dell’ingiustizia, della violenza e della stupiditá di questo triste mondo malato.

Femminista way of life é una proposta che parte dall’immaginario e arriva alle viscere: per ridefinire il vincolo, liberarci dell’obbligatorietá di ció che é considerato normale e scoprire finalmente il sapore che ha veramente l’amore.

(qui la versione in originale)


Cazzo, un altro maledetto 25 novembre. Nel quale celebriamo la nostra resistenza a questa violenza domestica, di genere, patriarcale, che assale in mille forme e maniere noi donne e paria sessuali. One more time. C’é cosí tanto da dire che solo per ricordarci chi siamo e cosa facciamo, con tutto l’amore femminista del contromondo traccio queste linee potenzianti, sovversive. E spero luminose. Per segnare vie di fuga possibili, che ci ricollochino felici, lontane del vittimismo che mai abbracceremo. Perché sono decadi che predichiamo nel deserto. Denunciando il maltratto e ricordando le reti di solidarietà attraverso cui preferiamo sopravvivere, prima di imboccare la strada di una distruzione collettiva che annulla l’amore e la cura. Noi femministe abbiamo preferito riformularci.

Mentre i discorsi egemonici sull’amore romantico, sull’eteronormativitá come destino, sulla stigmatizzazione delle puttane e la conseguente persecuzione legale delle lavoratrici del sesso siano cosí vigenti, e piú che mai, non avremo nemmeno sfiorato questa bestia strutturale che é la violenza maschilista. Ah, l’amore. Ci siamo pippate una cultura romantica cosí disastrosa che ci prepara su un piatto d’argento al maltratto. “Sin ti no soy nada” (ovvero Senza te sono niente ndt) cantava Amaral nel 2002 (c’é anche un’orribile versione italiana di questa canzone ndt). E questo maledetto ritornello ti si inchioda nel petto come una sentenza che ti spingerá ad afferrarti a Lui (o a Lei), come se la sua assenza minacciasse di disintegrarti senza rimedio.
E che dire della saga di Twilight? Le adolescenti (e meno adolescenti) del XXI secolo anelano un amore che comporti rischio, pericolo, morte. Come no, il vampiro è lui. Lei è la cocciuta innamorata che vuole redimerlo con il suo affetto. Gli occhi vitrei. La bocca dello stomaco, di pietra. La felicità, un istante. La fiducia, cieca. La serenità imprescindibile per una esistenza piena, inesistente.
L’amore, questo maledetto collante magico. In una società che ci programma, donne e uomini, a non capirci mentre allo stesso tempo ci obbliga ad accoppiarci, dovevano inventarsi qualcosa di mistico per farci continuare a perseverare in questa formula assurda che ci fa così vulnerabili. Mi riferisco all’amore tragico, alla possessione collerica, alla gelosia che ti dissolve le viscere, al sopportare tutto, a proiettare invece di godere, a volerlo cambiare, al panico dell’abbandono, al non lasciarlo perché “stiamo insieme da tanti anni” che ti condanna ad una vita senza futuro. Al fatto che abbiamo interiorizzato la intensità amorosa come quanto di più autentico sentiamo, quando come tutto, come il genere, è una costruzione culturale, per tanto trasformabile. Sebbene non per questo motivo sia meno reale, nemmeno è inevitabilmente distruttiva.
La grande Barbara Rey* rivelava venerdì 18 novembre in uno di questi momenti di climax televisivo, che molti anni fa visse una notte d’amore con la sua amica giornalista Chelo García Cortés. E si lamentò del fatto che non le fossero piaciute le donne, perché se cosí fosse stato la sua vita sarebbe stata molto più felice. Sono state queste le sue parole.
Poco tempo fa, abbiamo commentato questo fatto con un amico frocio: un tale pezzo di femmina ha sopportato per tanti anni a un nano del circo che la maltrattava. Lui mi diceva che non lo capiva, che una cosa erano le nostre madri, bloccate dalla miseria franchista, altra cosa Barbara. Attrice, vedette, donna di mondo. Io argomentai che tutte loro convergevano patriarcalmente allo stesso destino. Capisco piuttosto molto bene che Sofia, sua figlia, si manifesti tanto allegramente come lesbica.
Se riuscissimo ad abbattere l’eterodestino obbligatorio, contempleremmo il patriarcato e il capitalismo disintegrarsi più rapidi di un’aspirina in un bicchier d’acqua. Perché, non ci inganniamo, lesbiche e gay possiamo sposarci – per ora, vediamo che succede con Rajoy** – ma ciò non significa che si sia smesso di manipolare bambine e bambini perché riconoscano per tutta la vita la eteronorma. Chi osa trasgredirla, continua ad essere ribelle. E paga in qualche o molti modi il pedaggio della stigmatizzazione e dell’esclusione. Durante anni ho mantenuto indistintamente relazioni con uomini e con donne, o almeno questo credevo. Una amica e ex mi disse, quando le raccontavo quanto era diventato possessivo e pesante il mio fidanzato di allora “Non mi hai sopportato nemmeno per la metà!” Fu una rivelazione, e per quanto fossi – e sia – bulla non ho trovato altro rimedio che accettarlo. Avevo dato priorità ai miei partner maschi, a costo del mio benestare. E mai più.
Se le donne potessero contemplare con maggiore serenità la possibilità di una vita senza partner, senza sentirsi per questo sole o fallite, o con una partner donna, senza sentirsi per questo abbiette o rifiutate, non accetterebbero tanto la violenza maschile. E se le donne riconquistassero la loro sessualità una volta per tutte, liberandosi di questo perfido meccanismo interiorizzato e addomesticatore che è la stigmatizzazione delle prostitute, abbandonerebbero i segnali identitari della femminilità decente e legittimata che le prepara su un piatto d’argento per il maltrattamento. Per dimostrare che non sei una puttana devi non solo segnalare quelle che sì lo sono o almeno lo sembrano, ma anche perseverare in una messinscena dolce, dappoco, sottomessa. Questa è la grande trappola, mentre continuiamo a riprodurre questa divisione sociale tra ragazze buone e cattive, saremo tutte in pericolo. Le buone, in casa. Le cattive, nella notte.
La stigmatizzazione delle prostitute regola e domina più il corpo delle donne buone che delle inadeguate. Come dice mia sorella Bea Espejo nel suo rivelatore Manifiesto puta “per questo, solo per questo, le strade devono essere invase da puttane e prostitute orgogliose e fuori dall’armadio. Per questo, perché noi donne siamo perseguite al minimo indizio di promiscuità, il bene che fa alla donna in generale la presenza delle prostitute di strada è totalmente fuori discussione”. Quando difendiamo le puttane dalla violenza dei maschilisti, siano clienti, poliziotti o politici, stiamo difendendo anche noi stesse, che non ci guadagniamo la vita con un lavoro sessuale – sebbene ogni giorno di più dubito che ce ne sia qualcuno che non lo è – dagli stessi aggressori che minacciano la nostra esistenza.
D’altra parte, credo che lamentarsi come femministe di che le istituzioni ci abbiamo usurpato il discorso sulla violenza maschilista per decaffeinarlo non ci porta da nessuna parte. A questo punto della partita, possiamo essere molte cose però non ingenue. Fagociteranno sempre tutto per non cambiare quasi niente. Come diceva Edurne Epelde di Bilgune Feminista poco tempo fa “il patriarcato deve sempre accettare qualcuna delle nostre rivendicazioni per evitare maggiori rotture”. Addirittura lucra sulle nostre analisi, le nostre reti, le nostre proposte, i nostri traguardi. Il nemico è molto potente ed è armato, questo lo abbiamo sempre saputo.
La mia proposta per questo 25 novembre? Che continuiamo a fare esattamente quello che facciamo, e anche di più. Denunciando le mille forme di violenza maschilista e l’ideologia dominante che le promulga. Vigilando sull’arrembaggio istituzionale, come abbiamo fatto sempre, per smascherare il suo paternalismo imbroglione che ci rivittimizza e controlla. Ripartire dalla cura tra donne, per quelle che hanno bisogno di una opportunità per essere possibili. Far saltare in aria le fondamenta dell’amore eterocastrante che ci addomestica tutte.
E continuare a incontrarci. Come reporter del periodico femminista Andra, predecessore cartaceo di Pikara, incrociai nel 2001 Tamaia. E mi cambiarono la vita. Donne che accompagnavano altre donne maltrattate nei centri di accoglienza d’emergenza. E che decisero di continuare questo cammino di liberazione insieme. Da quasi venti anni offrono, gratuitamente, un percorso di recupero (e riprogrammazione) a qualsiasi donna ne faccia richiesta in Catalogna. Io fonderei una Tamaia in ogni città, in ogni paese.
Questa è la magia sovversiva che incarna il femminismo. Anche se non la vedi nei telegiornali. Meglio. Autodifesa, coscienza, reti, discorso, fare. E ricordare che tutto cambia. Lottare per un amore vero, un amore amabile. Per vincoli che scappino dall’eterodestino e dalla coppia obbligatoria. Abbracciare le nostre sorelle puttane e cospirare con loro, invece di condannarle (e senza rendercene conto, condannare noi stesse). Perseverare nella formula femminista per la vita. Abbiamo già dei percorsi tracciati, mai determinati,da percorrere e trasformare. Generare la nostra possibilità di esistenza al di fuori dell’assalto patriarcale, senza violenza maschilista. Perché non c’è niente di più potente dell’amore che non domina. Il nostro.

(altre ndt)
*Barbara Rey é un’attrice spagnola degli anni ’70 che a un certo punto della sua carriera lasció le scene per sposare un domatore e impresario circense basso e anche malvagio, secondo quanto confessó lei successivamente. lei aveva abbandonato ricchezza e fama per mettersi a fare la domatrice di elefanti e lui la maltrattava – non solo psicologicamente. come? ah giá, lo fanno, lo fanno…
**Rajoy é il nuovo capo del governo spagnolo, capofila del Partido Popular, forza molestamente conservatrice.

(grazie a zia Retroguard1a che ha rivisto il testo – l’immagine *mi ama? non mi ama?* é di Miryam Cameros – i grassetti sono miei)

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