sono in ritardo costantemente in questi giorni, rincorro soprattutto me stessa ma pur essendo lenta non mi raggiungo mai.
siamo quasi a metá del mese ma spero non sia troppo tardi per riproporvi su queste pagine qualche materiale di riflessione interessante e un paio di proposte d’azione, per celebrare il mese di appoggio alla campagna STOP 2012.
(quest@ é Nikky, mia sorella – la foto é del Donna, che é un fotografo molto bravo che porta sempre lo smalto rosicchiato peggio de me)
L’assemblea TransMaricaBollo de Sol (sarebbe la rete TransFrociaLesbica nata durante l’occupazione della plaza del Sol di Madrid del maggio scorso) ha proposto uno Sciopero del genere (da portare avanti almeno durante questo ottobre trans ma passibile di proroga indefinita)
Di cosa si tratta?
Come si porta avanti uno sciopero simile?
– manifestando pubblicamente ogni volta che se ne presenta l’occasione la propria non-identificazione come uomo o donna, rifiutando queste categorie di dominazione ed identificandosi come degenerat@
– questionando e sovvertendo i ruoli e i comportamenti di genere binari che ogni persona assume nella sua vita quotidiana (forma di vestire e di apparire, linguaggio corporeo)
– entrando nei bagni del sesso-genere opposto a quello assegnato a ogni persona in tutti quei luoghi in cui i bagni si separano in funzione della categoria binaria uomo/donna; in solidarietá con le persone trans e la violenza che soffrono quotidianamente nei bagni dei locali pubblici
– reclamando nei negozi di vestiti taglie e modelli che non siano differenziati in funzione del sesso-genere binario
– rifiutandosi di riempire moduli stampati o online, ufficiali o d’altro tipo, nei quali sia obbligatoria la definizione di genere e presentando reclami alle entitá corrispondenti esigendo la correzione dei moduli perché includa la possibilitá di non identificarsi ne’ come uomo ne’ come donna
– presentando ricorsi ai tribunali locali, provinciali, statali, europeo e internazionali sollecitando la non attribuzione di nessun genere binario e che tale menzione sparisca dalle carte di identitá e dagli altri documenti ufficiali per tutte le persone che lo desiderino
(se quest’ultimo punto vi sembra utopico, leggete qua)
(quest@ é la Signora Trasformatore – creatura dall’ingegno poliedrico e dai molti talenti. agisce sulla piazza romana ma io muoio dalla voglia di portarmela in giro)
La mia proposta é molto piú semplice di quella precedente, ma non meno impegnativa.
Si tratta di attuare un piccolo sabotaggio linguistico: é una pratica che negli ambienti attivisti spagnoli é abbastanza comune ma che in Italia non ho ancora ritrovato (tranne negli ambienti piú queer).
Credo sia arrivato il tempo di esportarla.
Aboliamo l’idea del plurare neutro declinato al maschile e utilizziamo al suo posto uno scioccante femminile plurale.
In italiano non esiste un genere neutro. La norma assegna arbitrariamente al maschile la capacitá di rappresentare gli unici due generi concepiti e accettati.
La convenzione linguistica secondo la quale il soggetto universalmente inteso si coniuga al maschile trasforma inevitabilmente il femminile ne l’altro, il diverso, il particolare, il parziale (e via rotolando giú per la china del minoritarismo).
La coscienza di un popolo si radica nella sua lingua e io penso che vale la pena provare a cambiare delle convenzioni, dei modi di dire, delle definizioni comuni che non sono corrette e che ci portano a pensare ed agire erroneamente
(chi parla male pensa male, neh?)
Ora, é un dato consolidato che le non-uomo, al mondo, sono la maggioranza.
É uno di quegli stereotipi che a noi post-donne fanno prudere le mani, quello della mitica capacitá femminile di accogliere… ma visto che questa volta fa il nostro gioco, da oggi in poi, quando parliamo al plurale, usiamo il femminile, visto che é cosí accogliente. Anche se non siamo la maggioranza, anche se noi stesse abbiamo il pisello.
É una piccola provocazione il cui senso dovrete spiegare sempre (salterá subito su qualcuno che si sente escluso e si appella al “ma in italiano si dice cosí” e gli farete notare con gentilezza disarmante come il maschile non é neutro e che la lingua italiana ha escluso da sempre le donne e i generi non binari).
Perché le cose si cambiano cambiandole e visto che (se il #15ottobre va bene) avremo davanti un sacco di assemblee per ridiscutere tutto lo scibile, mettiamo in mezzo anche questa contraddizione. Da subito.
(quest@ é Gender Hacker un’artista che dovete troppo conoscere)
Last but not least, grazie a un featuring con quella scheggia di Lafra, possiamo offrirvi la traduzione del manifesto della Resistenza Trans, con le parole d’ordine e i concetti, dalle richieste piú concrete e immediate a quelle di lunga durata. Leggetevelo tutto perché ne vale la pena.
Per un altro anno manifestiamo per rovesciare il sistema di genere e l’ordine patriarcale.
Per un altro anno vogliamo mettere al centro del dibattito pubblico la realtà in cui viviamo ogni giorno come corpi che non soddisfano le norme di genere o che trasgrediscono la sessualità egemonica. Partendo dal transfemminismo reputiamo il genere in sé come un meccanismo di controllo sociale, una categoria che genera violenza, che rinforza il binomio uomo-donna e la famiglia nucleare, punendo e recludendo ai margini tutte quelle forme di pensare, sentire e agire che non corrispondono con la norma di genere e sessuale.
Vogliamo parlare delle violenze di genere in un senso più ampio, mettendo al centro la violenza esercitata sulle donne e su tutte quelle identità che non rientrano nel sistema di genere; consideriamo inoltre la differenziazione sessuale come anch’essa una violenza. La transfobia è un’altra forma di violenza di genere.
Consideriamo il genere come un sistema che utilizza strategie, come la patologizzazione della differenza, il controllo sulle decisioni sul proprio corpo (aborto, anticoncezionali, ormoni, gravidanze, parto, ecc) o l’eterossesualità obbligatoria come istituzione per mantenere l’ordine sociale prestabilito.
La patologizzazione della transessualità perde di significato senza le imposizioni sessiste di un sistema dicotomico ed eteropatriarcale, di un sistema di genere basato nella riproduzione di una serie di ruoli e stereotipi che sono totalmente gerarchici e che servono a perpetuare determinate disuguaglianze sociali, in primo luogo l’asimmetria tra uomini e donne. Questo vale per tutte le penalizzazioni che sono imposte quotidianamente ai corpi che non rientrano nei binomi uomo/donna, etero/omo, desiderabile/indesiderabile; per tutte ed ognuna delle azioni punitive e censorie attraverso le quali siamo obbligat* a comportarci in modo conforme alle norme di genere socialmente imposte; ogni volta che viene imposto un modello di mascolinità o di femminilità o che siamo puniti per averlo trasgredito: tutte queste sono forme di violenza patriarcale.
Esigiamo l’eliminazione di tutte queste violenze in tutti gli ambiti: medico, legislativo, lavorativo, nella educazione, in tutti i mezzi di comunicazione, nelle strade, nelle abitudini e nella vita privata.
Difendiamo l’eliminazione della transessualità dai manuali delle malattie mentali (DSM-V e CIE-11). Esigiamo l’eliminazione del requisito di diagnosi di “disforia di genere” per ottenere il cambio di nome e di sesso sui documenti, e gli impedimenti all’accesso a questo cambio e ai servizi sociosanitari per le persone migranti. Difendiamo il diritto dei/delle minori di età a decidere autonomamente riguardo la propria identità e il proprio corpo senza bisogno della tutela dei genitori o dello Stato.
Non accettiamo alcun contributo medico che consideri la transessualità, il transgenderismo e/o i corpi intersex come realtà da sradicare. Il problema è la transfobia e denunciamo la complicità del sistema medico attuale ogni volta che si scambia la nostra diversità con una questione psichiatrica. Reclamiamo l’appoggio psicologico come una scelta libera di ogni persona, il cui esercizio deve essere garantito nell’assoluto rispetto della nostra dignità. La patologizzazione è uno dei fattori che la minacciano. Proclamiamo la nostra autonomia decisionale sul desiderare o meno cambiamenti dei nostri corpi e la nostra libertà per sceglierne anche al di là delle idee stereotipate di uomo e di donna che ancora oggi sostengono i medici.
Reclamiamo la libertà per tutte le persone che non desiderano identificarsi né come uomo né come donna. Riteniamo che non debba essere obbligatoria la specificazione del sesso nei documenti ufficiali ed esigiamo l’eliminazione dei protocolli medici di normalizzazione binaria per le persone intersex e, ovviamente, che siano garantite le libertà sessuali e riproduttive di tutte le persone trans, delle donne lesbiche e di tutte le persone sole.
Vogliamo che spariscano dal DSM i comportamenti sessuali non normati, classificati come parafilie, quali il feticismo, il sadomaso, il bondage, il sesso di gruppo, la ninfomania, ecc. Le relazioni sessuali consensuali tra persone consapevoli non devono essere carne da macello per l’istituzione medica patologizzante come è stato nel corso della storia con tutti i suoi errori ed orrori. Stanch* di essere la facciata dietro la quale si nasconde una società malata di consumo, egoismo, eterocentrismo, verticalità, controllo, competitività, religione e mercato: reputiamo la patologia come una costruzione sociale e un meccanismo si controllo. I malati siete voi!
Rifiutiamo anche la crudeltà del capitalismo, questo sistema economico e politico che intensifica la discriminazione, espellendo dal mercato del lavoro le persone trans, le donne, lesbiche, frocie, queer, ecc.
Difendiamo il riconoscimento al diritto al lavoro e ai diritti civili per le lavoratrici sessuali e la regolarizzazione delle persone migranti che si dedicano al lavoro sessuale. Combattiamo qualsiasi forma di abuso, violenza o sfruttamento lavorativo associato al lavoro sessuale o a qualsiasi altra forma di lavoro.
Esigiamo la fine degli abusi della polizia e quelli sociali sulle lavoratrici sessuali e la deroga di qualsiasi ordinanza che pretenda regolare il nostro comportamento nello spazio pubblico in base ad una idea conservatrice e rancida di quali sono i “buoni costumi”, il cosiddetto “spirito civico” che porta avanit in realtà una volontà di pulizia sociale e criminalizzazione della povertà.
Reclamiamo che venga rispettata la libertà delle persone a migrare e che si faciliti l’asilo per motivi di genere e sessualità, così come l’abolizione dei CIE e degli altri centri di reclusione come i riformatori, le carceri, ecc., e denunciamo gli abusi che si producono sulle persone transessuali, transgender e intersex rinchiusi lì dentro.
Denunciamo la rappresentazione stereotipata, tendenziosa e riduzionista che si compie nella “cultura” e nei mezzi di comunicazione delle persone trans e con generi e sessualità non normate. Denunciamo la visione che riduce i corpi trans a oggetti di sfruttamento sessuale.
Domandiamo un sistema educativo che abbia al suo interno una educazione sul genere e la sessualità completa, femminista e plurale. Esigiamo misure effettive per evitare il maschilismo e l’abuso transfobico e omofobico nei centri educativi.
Siccome il personale è politico, reclamiamo il diritto a una sessualità e una affettività pubblica libera, che non si articoli in termini di disuguaglianze, stereotipi, esclusioni, gerarchie, proibizioni, segreti e tabù, e che questa non sia condannata all’intimità, la privatezza e l’invisibilità.
Nessuna istituzione (né la Chiesa, né la scienza, né lo Stato, né il mercato) devono continuare ad esercitare il proprio potere sulle vite delle persone, sulle nostre relazioni affettive, sessuali e amorose, sulla nostra vita riproduttiva, sulle nostre decisioni sul corpo e le nostre forme di organizzazione.
Difendiamo la pluralità delle forme di relazione che vanno oltre il modello normativo di monogamia e famiglia nucleare. Denunciamo i privilegi esclusivi ai quali si accede attraverso il matrimonio e rifiutiamo qualsiasi forma di istituzionalizzazione delle nostre relazioni affettive.
Dato che le utopie quando ci crediamo e le viviamo iniziano ad esistere, continueremo come abbiamo fatto fino ad ora: creando discorsi e pratiche alternative al sistema di genere e capitalista, trasformando con le nostre idee e le nostre forme di relazione, generando desideri con i nostri corpi e corpi con i nostri desideri.
Ci incontreremo nelle manifestazioni!
CONTRO LA PATOLOGIZZAZIONE DELLE IDENTITÀ, AUTOGESTIONE DEI CORPI E DEI DESIDERI!
mi sembra geniale 🙂
soprattutto la cosa dei cessi…
in Italia che io sappia l’unico ambiente non strettamente queer in cui sia stato adottato il femminile come plurale collettivo è Urupia (una specie di comune anarchica che fa agricoltura biologica in salento)
poi io nel mio piccolo sto cercando di introdurlo anche nella redazione del blog http://tratturi.noblogs.org e ogni tanto vedo che anche agli altri “compagni” gli inzia a scappare qualche “ciao a tutte” nelle mail e mi commuovo…