il titolo è la traduzione non proprio letterale di “no son amigas, se comen el coño” articolo rabbioso ma pieno di spunti interessanti che ho voluto tradurre; la lettura è raccomandata a genitori e affini ma piú in generale a chiunque abbia a che fare con delle piccole persone, quotidianamente o in maniera saltuaria
(grazie a the violet balloon – di cui vi consiglio anche il post sull’Operación Pandora [brilliant!] – i grassetti sono suoi, i corsivi miei)
Uscire dall’armadio [espressione spagnola equivalente al fare coming out, ovvero dichiararsi diversamente sessuati, ndt] non è facile.
Educare un bambino o una bambina perchè non debba mai uscire da nessun armadio è una sfida totale.
Quando avevo l’etá che ha adesso mio figlio, ero innamorata della mia migliore amica: Mariona Matagalls. Lo ricordo perfettamente: i suoi morbidi capelli biondi e lisci, i suoi graziosi codini, la visione delle sue mutandine blu mare in una occasione in cui, mentre giocavamo, le si alzó la gonna. Avevo quattro anni. Come prova di eterno amore le regalai un Mini Pony. Anni dopo sono venuta a sapere che i colorati Mini Pony si sono trasformati in un simbolo della diversitá sessuale mentre gli unicorni sono simbolo della bisessualitá. La vita ti fa questo tipo di scherzi. Mia madre racconta ogni Natale di quel giorno del periodo natalizio in cui mi avvicinai a lei con un’espressione grave, facendole la seguente cerimoniosa confessione “Mamma, sono lesbica”. E che lei, con la stessa serietá, mi rispose che mi amava lo stesso, indipendentemente da chi io amassi, che l’importante era che io fossi felice. Lo racconta ridendo molto di questa bambina drammatica e sofisticata, sottintendendo che era una strategia per attrarre l’attenzione. Un gioco. Non so da dove tirai fuori la parola “lesbica”, in ogni caso è buono poter disporre di parole per dire le cose. È per questo che non risparmio sul vocabolario con mio figlio; il sangue mestruale è sangue mestruale e il pene è il pene, poi è lui che si incarica di inventare “sangue magico”, “pipino” e altri fantasiosi epiteti. E questo non perchè voglio farne un pedante o per la mia formazione da filologa, ma perchè possedere la parola giusta per liberare una realtá vivida, per comunicarla, ha proprietá salvifiche, amplia il mondo che abitiamo ed è il tratto primordiale della lingua materna: una lingua in cui le parole coincidono con le cose. […]
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