il testo che segue è un estratto da Etica marica (Etica frocia), pamphlet che Paco Vidarte, professore di filosofia e attivista queer, scrisse in occasione dell’EuroPride di Madrid del 2007.
i riferimenti, originariamente riferiti al contesto spagnolo (trionfante dopo l’approvazione del matrimonio omosessuale da parte del governo Zapatero, nel 2005) sono applicabili anche al contesto italiano (nel quale peró le persone omosessuali e in generale coloro che vivono nella dissidenza sessuale hanno anche poco da gioire).
per questa ragione ho deciso di leggere questo testo come introduzione al mio intervento all’interno del Pride nazionale di Palermo, al quale ero stata invitata come autrice del libro Racconti erotici per ragazze sole o male accompagnate.
Quando qualcuno al potere mi parla di ció che è possibile per me, io mi metto subito in guardia. I politici ci parlano solo di quello che è possibile per le le froce, di quello che è possibile per noi, di quando è possibile, di per quante è possibile, del se ci interessa che sia possibile, di quel che è possibile ma ci pregiudicherebbe: questo è il discorso eterosessista oppressore. A questo discorso non si puó opporre una strategia che lo continui, prolunghi e gli lecchi il culo come quella attuata dai collettivi: dimmi che è possibile e te lo chiederó. Dimmi che è possibile, ossia che ti conviene, e te lo chiederó. Dimmi che è possibile, ossia, come mantenere una struttura di controllo sociale e lo trasformeró in una rivendicazione del movimento gay. L’unica politica di opposizione reale e veramente distruttiva a livello sistemico, posto che i collettivi giá fanno parte del sistema, i rappresentanti delle froce appartengono a partiti politici e la loro azione non puó essere che strutturalmente diretta alla riproduzione delle strutture di potere eterosessiste a cui appartengono, è una politica non possibilista del questo è possibile, adesso è possibile, domani sará possibile, non sará mai possibile (il possibile ha bisogno di essere enunciato, decretato da una istanza che è quella che crea, determina, giudica, istituisce l’ordine del possibile, che non è mai fattuale, naturale, ontologico; il possibile è una categoria politica di oppressione, essendo sempre il potere a determinare l’ambito del possibile: entrare nel gioco politico della negoziazione del possibile é un suicidio del movimento LGTBQ se si prospetta come unica strategia di lotta).
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Un’altra politica è possibile. Altri collettivi. Altri dirigenti. Altre manifestazioni. Un altro Pride. Anche se adesso sembra impensabile. Niente è per sempre. Io credo come frocia nella irruzione del nuovo e dell’inatteso, in che succeda qualcosa che nessuno aveva pensato prima, in che nascano nuove proposte etiche, politiche, teoriche, filosofiche, militanti, quello che sia purché rompano il paradigma monolitico della negoziazione e il possibilismo come unica forma di relazionarsi con il potere consegnandosi a esso, visto che é il potere che detta quello che per la comunitá LGTBQ è possibile e quando, e come, parlando chiaro, gli puó risultare innocuo, inoffensivo, utile, opportuno e conveniente gestire un orizzonte chiuso, limitato e regolato dalla legge per la comunitá gay.
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Poco possiamo aspettarci da chi giá si è installato in politica per conto nostro e ha fatto carriera in nostro nome, espropriandoci della nostra voce, permettendosi il lusso di screditare tutte le lotte, le strategie e le rivendicazioni che non fossero le sue, ufficializzate, negoziate, pattuite, imposte dall’alto. [Io propongo una] Politica mutante, che crei organi per i quali non ci sono ancora funzioni, che debba inventarsi ad ogni passo, che magari a volte non sa che fare peró non smette di agire, di portare avanti azioni senza senso, con la speranza che un giorno avranno senso, che un giorno esisterá un orizzonte possibile nel quale abbiano senso, in cui saranno condivise.
Una politica che fugga dalla rivendicazione dell’esistente, di quel che ci viene offerto, cosciente che solo da noi stesse sorgono i nostri diritti, che ci dobbiamo inventare giuridicamente e socialmente, approfittando di quello che siamo invece di ipotecarci cercando di essere come non siamo, come sono gli altri, vivendo come la maggioranza rinunciando a una differenza […] che è il nostro unico vantaggio, la nostra maniera piú propria di lottare per la libertá. Una politica che scommetta su discorsi nuovi, irriducibile al commercio negoziatore e al chiacchiericcio demagogico e di controllo sociale, tattiche di lotta e strategia dirompente che facciano scoppiare, schiantare, saltare in aria una situazione di status quo che ci vendono come definitiva e inamovibile, non migliorabile ne’ peggiorabile, con cui dobbiamo conformarci per forza perché non hanno altro da darci, non c’è piú niente da fare ne’ da inventare. Puro conservatorismo politico che impregna anche i nostri collettivi, anche le nostre menti di frocie ogni volta piú smobilitate, piú conformiste, piú “orgogliose” e meno riventicative.
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Io sono ottimista e confido enormemente nel potere del piccolo, delle micropolitiche, degli effetti imprevedibili di ogni cosa che faccio, di ogni riga che scrivo. So che un novanta per cento di tutti i miei sforzi finisce al secchio, che si ritorcono contro di me, che non offendono nessuno, che non fanno male a nessuno, che non danno niente a nessuno, che non generano ne’ un briciolo delle illusioni che vi erano riposte, che non rispondono mai alle mie aspettative. Peró a volte, quando ho fortuna, un paragrafetto fatto per caso, senza pensarci, un paragrafo di transizione per nulla importante disegna un sorriso in chi lo legge, risveglia una idea stupenda in qualcuno, prende vita propria e, io suppongo, termina per avere qualche effetto che non cambierá il mondo ma almeno avrá ottenuto un sorriso, avrá suscitato indignazione, avrá generato complicitá o guadagnato solidarietá.
La mia rivoluzione è molto piccola. […]
Io vedo un graffito sul muro, un manifesto brutto, un adesivo incendiario, un flyer con piú motivazione che grafica o testa, quattro che decidono di fare qualcosa insieme, un’azione organizzata in una sera, una occupazione effimera, e mi viene la pelle d’oca, credo nel futuro, mi si alza il morale, improvvisamente ho fiducia nella gente e mi viene voglia di mettermi anch’io a fare cose. Bisogna stare attenti all’inerzia delle masse. E le froce di questo paese di sono trasformate in massa inerte smobilitata. Io sto attento a quello che fanno due frocie tra venti, tre trans tra quaranta, cento persone in mezzo a un milione, perché mi sembra che lí ci sia la vera forza del cambio ideologico, una attitudine militante impegnata, la garanzia che non tutto é stato consumato.
(Etica Marica, ed. Egales, pag.101 e seguenti)
[i grassetti sono miei]
One thought on “in tempo di Pride (estratto da Etica marica di Paco Vidarte)”
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