a Pasqua siamo tornati in Costa Brava e anche se ha fatto sempre un tempo di merda siamo stati felicissimi.
Alloggiavamo in quel di Pals, cittadina medievale del Baix Emporda’ che avevamo avuto gia’ il piacere di visitare quest’estate – all’epoca pero’ non eravamo provvisti di ruote e la passeggiata per il borgo era stata piu’ facile.
Avevamo preso una camera qui, in una locanda piccola e pulita, a gestione familiare, abbastanza economica per la zona (45 euri a notte la doppia).
[si’, con una figlia piccola a carico un posto pulito mi e’ necessario e 45 euri a notte mi sembrano una cosa abbastanza economica. io ho dormito anche sotto i ponti pur di farmi una vacanza, ma per mia figlia pretendo e pago, per quanto mi suoni orribile dirlo]
E’ stato salubre smuovere il culo dalla citta’ e dalla mia bella casetta-prigione. Questi primi tre mesi di vita di Antonia sono stati intensissimi e data l’ansia da prestazione che da sempre mi accompagna li ho vissuti stressandomi molto. Con la bimba ho sempre cercato di rimanere piu’ tranquilla che potevo – perlomeno i miei sforzi erano tutti tesi in quel senso – mentre con l’altro pezzetto di famiglia, il Papito, e’ stata spesso la regola pretendere il massimo e infuriarmi se non funzionava tutto alla perfezione alla prima botta. Tutte le mie amiche mi dicevano che ero nella norma, che poi sarebbe passato, che succede a tutte qualcosa di simile. Deve averci a che fare quella stronza di prolattina, ma non solo.
E’ che io, se devo dirla tutta, ancora faccio fatica ad abituarmi all’idea di avere una famiglia normale, fatta di madre-padre-figlia. Oltre al fatto che per tanti anni mi sono sentita dannatamente non conforme nelle pratiche e nei desideri, proprio da quando mi ricordo di esistere ho aborrito la famiglia nucleare: io volevo una comunita’ di bella gente dove i bambini crescessero tutti insieme e ci fossero tanti zii e tante zie e sia l’educazione che l’amore filiale fossero beni e rotture di palle condivise in un numero piu’ consistente del due.
Quando da ragazzina spiegavo a mia madre come avrei voluto la mia famiglia, lei rispondeva scettica che le comuni erano un esperimento degli anni ’70 che come gran parte dei tentativi di quel decennio glorioso era finito ingloriosamente. Senza gloria fini’ anche la mia relazione con l’uomo piu’ sociale del mondo, che per fare comunita’ si era comperato la macchina apposta (come Vasco) e grazie al quale avevo perso completamente la fiducia nell’intelligenza del genere maschile.
Poi e’ arrivato il Papito, che e’ mezzo eremita e mezzo autistico, e siamo stati travolti da una passione sana e scriteriata che senza pensare a come sarebbe stato dopo ci ha fatto avventurare nel delirio di onnipotenza della riproduzione.
Da quando e’ nata Antonia abbiamo perso un po’ i contatti con il mondo… le zie e gli zii hanno sempre un sacco da fare e quando non hanno da fare escono e vanno a ballare – gia’ e’ tanto se si ricordano di telefonare. Altro che comunita’!
Il risucchio e i fraintendimenti con gli amici non-breeders li racconta bene il papa’ di Maia e devo ammettere che se anche qualche personaggio e’ sparito dalla scena, il meglio rimane e anzi, cresce.
Quindi, fin qui tutto bene. Nella casetta-prigione regna nuovamente l’armonia, anche perche’ io e la Nina domani partiamo per Roma. Mi aspettano 10 giorni di coccole e riposo, yessssssssssssssss! (di quanto sia una stronzata fare un figlio lontane dalla propria madre ve lo racconto un’altra volta, che devo fare i bagagli).
Che belle siete… 🙂