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cronaca e dintorni

Lina Mangiacapre

Lina Mangiacapre - Elio-gabalo
Lina Mangiacapre – Elio-gabalo

lei è Lina Mangiacapre, una poliedrica artista del femminismo.

filosofa, politica antipolitica, pittrice, fotografa, regista e compositrice, militante femminista, saggista e poetessa (prendo le definizioni dalla sua biografia), utilizzava il termine Transfemminismo già negli anni ’70 (!!!!!). rielaborava la mitologia esaltandone il potenziale rivoluzionario di collante collettivo (fondó un gruppo chiamato le Nemesiache) e inventó il metodo della psicofavola – che usó tra l’altro in laboratori di creazione artistica con le donne del Frullone (ospedale psichiatrico di Napoli).
un personaggio originale e interessante, ovviamente sconosciuto alle più e assolutamente marginale nelle genealogie del femminismo ufficiale.
le sue opere sfiorano il sublime e sfidano il trash, che lei stessa attraversava senza paura, sfoggiando anche nella sua vita quotidiana un’estetica a dir poco pittoresca.
i suoi testi sono densi e pieni di ispirazioni e le sue riflessioni molto avanzate, rispetto agli anni in cui viveva.

oggi ho visto un breve documentario su di lei (realizzato grazie a un finanziamento collettivo dalla giornalista Nadia Pizzuti) insieme alla mia socia, dopo che un’altra amica l’aveva commentato cosí “eri tu, negli anni ’70, a Napoli”.

e sono lusingata ma devo dire la veritá: nell’idea dell’arte come rivoluzione condivisa (e della rivoluzione come arte condivisa), nella sfida costante alla norma-lità e alle sue categorie opprimenti (e deprimenti) ma soprattutto in quella marginalità borderline io e Rachele ci siamo ritrovate un sacco.
e ci è venuta voglia di conoscerla meglio e di farla conoscere (questo post è un primo, piccolo omaggio).

la libertá non si compra ma si paga (spesso in termini di solitudine, invisibilitá, isolamento)
ma come diceva Lina
CI SONO GUERRE, SORELLA, CHE NON SI POSSONO NON COMBATTERE

 

 

 

[nell’immagine che illustra il post Lina è in scena con un Eliogabalo.
sorrido se penso che una delle prime performance a cui presi parte era basata sul testo di Artaud dedicato all’imperatore romano. io avevo scelto di vestire i (pochi) panni della madre indecorosa. avevo una pancia finta e i capezzoli colorati di rosso, come le prostitute romane.
in una delle prime rappresentazioni (eravamo, ça va sans dire, in un centro sociale) un coglione che forse non aveva mai visto un paio di tette in vita sua cominció a fotografarmi come impazzito, accecandomi con il flash e provocando l’ira funesta del mio fidanzato dell’epoca, che trovava intollerabile la mia mancanza di pudore e che non mi parló per una settimana.
del coglione che fotografava giá non me ne fregava niente (oltretutto ero dietro a un vetro e visto che usava il flash non avrebbe ottenuto nessuna foto leggibile), ma per il fidanzato penai moltissimo, col senno di poi direi decisamente troppo.
ma poi a salvarmi – forse già lo sapete – arrivó la sorellanza…]

Uno stupro amichevole – reload

(è una versione leggermente diversa da quella originale. più matura direi.
è stata pubblicata su LASPRO rivista di narrativa sociale)

non sei sola (foto di Svalilla dal laboratorio Io Porno, Bologna 2015)
non sei sola (foto di Svalilla dal laboratorio Io Porno, Bologna 2015)

Due anni fa, all’inizio dell’estate, ebbi una conversazione illuminante con alcune amiche. Parlavamo di violenza sessuale, nello specifico di quelle che avevamo subito.
Io, un po’ smargiassa, sostenevo di non essere mai stata violentata. Mi vantavo un po’ di una serie di feature animalesche sviluppate in quanto ragazza di borgata (l’occhio del ramarro, la velocitá della gazzella e l’istinto del riccio) che singolarmente e combinate tra loro m’avevano salvato letteralmente il culo in piú d’una occasione di pericolo. Riflettevo anche sul fatto che, pur essendo una psiconauta frequentatrice abituale della via dell’eccesso, in realtá non sono mai stata una sfasciona professionale, di quelle che si mettono nei guai per candore alcolico o ingenuitá chimica.
Neanche il tempo di sentirmi cosí sveglia e fortunata insieme che una delle amiche, guardandomi a lungo negli occhi mi dice: non vorrai dirmi che nessun amico t’ha mai stuprato?
E lí ho deglutito duro e pure se non mi ricordavo bene, ho sentito che non avrei potuto rispondere che no, nessun amico mi aveva mai violentato.
Perché ci sono violenze alle quali non abbiamo il coraggio di dare questo nome; perché è troppo duro ammetterlo, perché magari in quel momento abbiamo lasciato fare, perché uno strillo non ci stava e nemmeno uno spintone – ma perché poi?
A distanza di tanti anni mi chiedo ancora perché non ho avuto il coraggio e la forza di urlargli NOOOOO, CAZZO! e di allontanarlo con una legittima dose di violenza…

La storia è semplice e banale e credo assomigli a un sacco di altre.
Lui era un mio amico. Anzi, di piú. Quando avevo vent’anni e avevo giá alle spalle qualche anno di attivismo studentesco ebbi con lui una storia d’amore breve e abbastanza tormentata. Non viveva in Italia ed era un compagno di provata fede, sensibilitá e intelligenza. Aveva una decina d’anni piú di me ma a quei tempi uno che non avesse almeno un lustro di vantaggio non lo riuscivo proprio a considerare.
Duró poco ma fu un amore intenso e pieno di parole – a quei tempi ancora si scrivevano e spedivano lettere; fu un amore illegittimo e pieno di lacrime, perché io avevo un fidanzato che non volevo lasciare, anche se mi sembrava di essere follemente innamorata di quest’altro (a quei tempi lo chiamavo il complesso di Jules et Jim ed era una primitiva consapevolezza del fatto che un uomo solo né mi sarebbe mai bastato, né avrebbe potuto mai sopportarmi intera).
Insomma Goran (chiamiamolo cosí, che era il nome che gli davo nelle poesie – sí, ero un’attivista che scriveva poesie e indossava minigonne di pelle blu elettrica – proprio normale non sono mai stata) mi tolse definitivamente di dosso il peso della forzata innocenza monogamica e poi partí per il Messico, paese dove soggiornava regolarmente durante gli inverni europei. Io intanto mi ero giá follemente innamorata di qualcun altro e lo persi un po’ di vista.
Lo ritrovai su Internet, alcuni anni dopo. Mi mandava mie foto che trovava in giro per la rete e mi diceva sempre che ero tanto bella.
Poi un giorno mi scrisse che veniva a Roma, per una mostra. Che se lo passavo a salutare, che aveva un sacco voglia di vedermi e sapere che facevo e come mi andava.
Mi andava male, mi sembra di ricordare. Risposi con entusiasmo alla sua mail e ci vedemmo la sera stessa. Era abbastanza uguale a come lo ricordavo: bassetto, biondo e con gli occhi belli, di un’intelligenza un po’ crudele. Aveva piú panza di quanto ricordassi e glielo feci notare.
Io ero stanca e dopo due canne mi sentivo una donna da buttare.
Non ricordo dove fosse la mia casa a quei tempi. Sicuramente troppo lontana, tanto che lui mi disse: se vuoi puoi fermarti a dormire da me, ho una stanza in un hotel qua vicino, tranquilla.
Ora, qualsiasi persona di buon senso che abbia vissuto anche solo pochi mesi della sua vita a Roma sa che “Tranquillo ha fatto una brutta fine”, ma come potevo non fidarmi di lui? Del compagno fondatore di riviste insurrezionaliste che aveva respirato la puzza dei piedi del subcomandante Marcos, dell’amico che m’aveva regalato un coltello, perché puó sempre servire, dell’idolo che praticava la rivoluzione permanente, dell’uomo che m’aveva sedotto raccontandomi per filo e per segno la dinamica di non so che riot di inizio anni ‘80 come se fosse la battaglia di Magenta…
Mi fidai. Salimmo in camera sua. Neanche avevamo cenato: mi buttai sul letto a peso morto e gli dissi: Domattina facciamo una bella colazione, eh?
Lui mi disse: Ti faccio un massaggio. Io gli dissi Ah non lo rifiuto di certo, peró sappi che ho sonno e ho bisogno e voglia di dormire. Lui mi disse un’altra volta Tranquilla.
Il resto è confuso e amaro di sapore. Mi tolgo la maglietta (Sennó, scusa, che massaggio è?) e affondo la testa nel cuscino.
Lui mi tocca la schiena per una decina di minuti, nemmeno, e poi si fionda sul culo. Mi vuole togliere le mutande. Io gli dico che no, ma evidentemente la protesta è troppo blanda. Sono stanca morta e comincio a capire come andrá a finire. Gli dico Dai Goran, magari domattina, è che adesso ho proprio sonno. Mi dice mettiti giú, tranquilla. Mi giro di spalle e cerco di pensare che non sono lí. Si avvicina, mi infila la faccia nella fica, poi ci mette un dito, due dita. Si muove lí dentro, mi allarga, si fa strada. Io sbuffo, mi tiro su e gli dico Ma che fai? Lui sorride e io mi sento una merda. Rimango seduta, tutta rannicchiata: mi bacia e vuole guardarmi negli occhi. Io abbasso lo sguardo e provo a dire È che non mi va e giro la testa, ma lui mi segue, mi infila la lingua in bocca, mi da un milione di odiosissimi bacini sul collo, sulle guance, dovunque arrivi.
Io sento che a sto punto dovrei piangere ma non mi va di piangere, vorrei solo dormire e allora mi rimetto giú e m’affogo nel cuscino.
Lui lo prende come un via libera e a quel punto fa tutto da solo. Sono troppo mortificata per fare qualcosa di diverso dal subire. Penso che se smetto di resistere magari finisce prima.
Si mette un preservativo, entra, stantuffa e se ne viene in un tempo che mi sembra lunghissimo, durante il quale penso che sono una stupida e che è colpa mia, che qui non ci dovevo venire e che questa storia non la sapró mai nemmeno raccontare.
Non mi ricordo la mattina dopo, so che da allora ho sempre accuratamente evitato di incontrarlo. L’ho odiato e non gliel’ho mai saputo dire.
Ho odiato me stessa per non aver saputo reagire. Per tanto tempo ho rimosso il ricordo di quella notte in cui mi sono sentita usata, tradita, insultata.
Eppure alla fine a me stessa sono riuscita a perdonare tutto: l’ingenuitá, l’incapacitá di reagire e il silenzio.
Lui non l’ho perdonato, e in fondo neanche mi interessa piú farglielo sapere. Ho fatto talmente tanti chilometri che ho smesso di considerare questa storia una questione personale.

Penso sia piú utile raccontarla alle donne – e soprattutto agli uomini – che la sapranno ascoltare.

chi ha fermato Rodrigo Rato?

La notizia merita un piccolo approfondimento da parte della vostra inviata nella Penisola Iberica: ieri è stato arrestato Rodrigo de Rato y Figaredo, meglio conosciuto come Rodrigo Rato, uomo forte del Partido Popular per il quale ha ricoperto il ruolo di ministro in vari governi.

Rato fu anche a capo del Fondo Monetario Internazionale, incarico che lasció con poca gloria nel 2007. Da allora, secondo una modalitá che in Spagna viene chiamata con amara ironia di Puertas giratorias (porte girevoli) Rato passó al privato, dirigendo una delle operazioni finanziarie piú spregiudicate (e fallimentari) degli ultimi anni: il lancio della holding Bankia, che trascinó sul lastrico migliaia di piccoli investitori. Il colmo è che per “salvare” questa impresa intervenne il governo spagnolo con un finanziamento miliardario (si parla infatti di porte girevoli per la facilitá con cui certi personaggi della politica passino dal pubbico al privato – beneficiando sempre quest’ultimo).

Ma il cuore della notizia, quello che forse non apparirá in nessun articolo della stampa italiana – ma per questo ci sono io 😉 è che la caduta del Dio Rato è stata causata in buona misura da un’iniziativa popolare: una querela alla Audiencia Nacional, finanziata da un crowdfunding (una raccolta di fondi partecipativa), del gruppo 15mpaRato, che raccolse prove della truffa di Bankia (che fu lanciata in borsa quando i suoi bilanci erano giá fallimentari) e che attraverso il lavoro del suo team giuridico e di inchiesta riuscí a portare alla luce altri scandali legati alla corruzione della classe politica. E il tutto nella piena trasparenza, dei documenti e delle azioni.

Io sono per l’abolizione del carcere e quando venne lanciata la campagna (le cui parole chiave erano Rodrigo Rato in galera) per questa ragione un po’ rimasi ai margini. Non mi piacciono gli appelli “alla pancia del paese”, mi mettono a disagio.

Oggi devo ammettere che il lavoro di comunicazione e mobilitazione della cittadinanza è stato eccellente. E il suo sviluppo* dimostra che dalla pancia si puó arrivare alla testa.

E siccome ho paura che [almeno nella mia lingua] non lo dica nessuno (perché se si estendesse questa pratica per le elite che ci governano sarebbe pericolosissima) lo voglio dire almeno io: grazie 15mpaRato. Per le capacitá strategiche, per la lungimiranza e il coraggio.

*il gruppo si è dichiarato disponibile ad un confronto con Rato, per uscire dalla dinamica del capro espiatorio e arrivare ad identificare complicitá piú o meno occulte: la finalitá non è metterne uno in galera ma cacciarli via tutti dal potere.

due cose, per concludere: la prima è che non sono giornalista e non mi occupo di finanza, quindi è possibile che questo articoletto contenga delle imprecisioni. invito qualche giornalista con cognizione di causa (e stipendio magari) ad occuparsene e ad approfondire.

la seconda è un divertissement: nel video che segue potete apprezzare l’accoglienza a Rato – nel Parlamento Catalano – di un politico che ammiro profondamente. c’entra poco o niente con 15mpaRato, peró 1) fa ridere col cuore 2) il partito a cui appartiene Fernandez, la CUP, è uno di quelli che hanno preso forza a partire dal movimento del 15m (quello che in Italia viene ancora chiamato degli Indignados, credo), brodo primordiale di tante iniziative popolari come, appunto 15mpaRato.

Politiche di rischio (di Lucia Egaña)

(quando ho letto il post Politicas de riesgo di Lucia ho capito che, rispetto alla querelle Macba, era il pezzo di discorso che mi mancava. grazie a lei per averlo esplicitato e grazie a Claudia Torresani per avermi motivato e aiutato a tradurlo)

l’8 marzo 1857 a new york*, un padrone decise di imprigionare le lavoratrici della sua fabbrica e di bruciarle vive perché avevano manifestato contro le pessime condizioni in cui erano costrette a lavorare.
in Cile, nel marzo del 2015, un padrone tiene imprigionate di notte, in un container, delle donne che lavorano per lui, non si sa né perché né a quale scopo (“Sono politiche aziendali”, dice un altro lavoratore che in quanto portatore di pene non è stato imprigionato, nonostante lavori presso la stessa azienda). nel corso di una calamità naturale, una di quelle che in Cile accadono spesso, i container si riempiono d’acqua, le donne imprigionate non possono liberarsi e muoiono come quelle del 1857, non bruciate vive ma affogate.

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Art for porn – le mie raccomandazioni (capitolo 1)

Comincia oggi a Milano un evento che forse non ha bisogno di presentazioni (ma io lo presento lo stesso, perché ridondare è bello).

Art for Porn è un’iniziativa delle Ragazze del porno, gruppo di cui faccio parte e la cui natura, scopi e risultati incuriosisce come scimmie amiche, sodali e conoscenti. Questo post peró non è pensato per soddisfare la vostra curiositá in proposito ma per ringraziare alcune persone che hanno messo a disposizione la loro arte per aiutarci nel compito (abbastanza ingrato per delle creative ma ormai ahimé necessario per chiunque voglia produrre cultura) di guadagnare dei soldi per avere i mezzi tecnici che ci consentano di portare avanti il nostro progetto.

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Lo scandalo del MACBa (di bestie, sovrani e altre oscenitá)

Il mondo della cultura spagnolo qualche giorno fa è stato scosso da una serie di eventi che hanno coinvolto il MACBa, museo di arte contemporanea e orgoglio della cittá di Barcelona, e che per una serie di motivazioni politiche e personali sento l’urgenza di raccontare (senza alcuna pretesa di obiettivitá: sono una proletaria dell’arte, una metalmeccanica dell’immaginario, una precaria alla deriva – e da questa posizione scrivo e descrivo).

Il MACBa non è solo è un’istituzione rispettata, dalla programmazione all’avanguardia e strettamente connessa con il brand Barcelona (la maggioranza delle persone che conosco vi è entrata durante il Sonar, forse senza capire nemmeno bene dove stava), ma è soprattutto il luogo in cui nell’ormai sideralmente lontano 2003, si tenne, con la direzione di Paul B. Preciado (ai tempi conosciuto come Beatriz), la mitica Maratona Postporno, uno dei primi eventi di riflessione pubblica e partecipata sulla pornografia a livello europeo.

Piú di 10 anni dopo la pornografia è un tema piú che esplorato, discusso, analizzato dalla cultura “alta”; ci sono pornostar che scrivono di filosofia e filosofi che analizzano la pornografia, le produzioni pornografiche vecchie e nuove vengono ormai considerate prodotti culturali e come tali valorizzate e i temi e stilemi che contraddistinguono il genere hanno ormai invaso il mediascape, influenzando il consumo di massa. L’osceno ha occupato il centro della scena, disvelando pratiche e teorie che, anche quando sono state sussunte dal mercato, hanno determinato processi, seppur contraddittori, di liberazione.

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efecte Ciutat Morta

Llevo días raros, con la ilusión de estar saliendo de una pequeña depresión y el miedo a que en realidad no se me haya pasado para nada.

Intento apegarme a todo lo que conlleve un mínimo de buen rollo y flipo por el hecho de que el subidon por el enorme éxito de Ciutat morta (documental que relata los acontecimientos del #4F) no consiga contagiarme.

Sigo teniendo mucha rabia y desconfío del entusiasmo superficial de lxs televidentes, de la peña que – ahora que HA VISTO – ya se lo puede creer.

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Trans Hack Feminist

transhackfeminist

Dal 4 all’11 agosto nell’ecolonia postcapitalista di Calafou si tiene il Trans Hack Feminist, un incontro transfemminista (organizzato insieme a etc) incentrato sull’utilizzo critico e la riappropriazione di tecnologie che investono campi d’intervento diversi che vanno dall’informatica alla ginecologia – da parte di soggetti storicamente esclusi dal discorso scientifico.

(versione in lingua inglese)

 

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el #19O y la frustración del periodista del régimen

(nota sobre la mani del #19O aparecida originalmente en Al di lá del buco y traducida por Victor y Paula)

mapa #19O

Hay una manifestación. No es noticia.

Hay una multitud inmensa de gente  que se ríe, pasea, grita lemas. No es noticia.

Hay un pancarta magnífica, la síntesis es poética y cuenta la fuerza y la historia y la potencia de quien no se somete y lucha. No es noticia.

Hay un grupo de chicos y chicas que han trasnochado para componer carteles donde está escrita la belleza, tenacidad, sueños, reivindicaciones. No es noticia.

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